"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 4 luglio 2012

Provocazione irrituale ai Direttori del Personale

L'ultimo numero del "Il Mondo" parla, con articolo di copertina, di una nostra ricerca sulle più grandi aziende della Borsa di Milano: il "Rating dei Business Plan". I Business Plan dovrebbero essere non un adempimento burocratico o un documento di "condimento" a discussioni di sostanza, ma un vero e proprio "piano di futuro". Che poi accade davvero.
Ci sono gli strumenti per farlo, i linguaggi di Strategia d'Impresa (Corporate Strategy), ma le aziende, non solo quelle della ricerca, sembrano ignorarli. E' una ulteriore dimostrazione di una classe dirigente convinta, per opportunità o arretratezza culturale, di una concezione statica della realtà, che si vuole a tutti i costi mantenere tale.
Ma che c'entrano i Direttori del Personale, ma anche chi si occupa di organizzazioni e comunità a qualsiasi titolo, in tutto questo?

Vi è un passaggio nell'articolo che cita il "processo di redazione" ovvero chi ha scritto il Business Plan e come è stata governata tale attività di redazione. E' una variabile importante in quanto la si associa alla probabilità che il piano si realizzi partendo dal presupposto, tanto banale quanto universalmente disatteso, che le persone supportano ciò che hanno deciso anche loro (e dunque se un piano è il frutto della volontà di un gruppo di persone, di sicuro quel gruppo di persone lo realizzerà!).

La strategia dell'impresa, esplicitata nei business plan, dovrebbe essere una vera e propria identità dell'azienda, una sorta di "Manifesto" attraverso il quale l'impresa esprime, con una concatenazione logica, chiara e conseguenziale, la sua visione del mondo, che ruolo vuole avere in esso, come dare sostanza a questo ruolo e, conseguentemente, che risultati economici il tutto genererà .

E' sempre più evidente che nel mondo di oggi, del quale stiamo scoprendo ogni giorno di più la sua complessità, con comunità sempre più consapevoli delle proprie potenzialità e desiderose di affermare il loro ruolo, dove è evidente che "non esiste sviluppo che comunità non voglia", come ricordava il Dott. Delai ai Direttori del Personale al loro ultimo convegno annuale AIDP, un tale "Manifesto" non può essere esercizio di pochi, benchè illuminati, al vertice, nè tantomeno di super-esperti esterni. In questo caso sarebbe buono solo da attaccare alle pareti per coprire qualche crepa, e nemmeno degli uffici dell'azienda a cui si riferisce.

Dunque è l'organizzazione tutta che deve mobilitarsi per la sua stesura (come indica anche McKinsey in un suo recente rapporto dove parla del fenomeno del crowdsourcing della strategia), con strumenti che consentano di aggiornare le "mappe cognitive" di tutti i partecipanti affinchè superino i blocchi concettuali nei quali sono intrappolati, e che consentano di esprimere la progettualità di cui tutti sono capaci e desiderosi. Servono poi processi che governino, non "gestiscano", il processo sociale affinchè non generi confusione.
Servono infine manager consapevoli dell'importanza di cedere potere per ottenere consenso, unica strada per conquistare l'indispensabile supporto delle comunità, e capaci di fare sintesi al rialzo non compromessi al ribasso, garanzia per non generare frustrazioni o sgradevoli sensazioni di manipolazione nei partecipanti.

E' chiaro allora che si tratta di un processo di mobilitazione dell'organizzazione, che porta a definire direzioni che verranno percorse, obiettivi che verranno raggiunti, motivazioni che verranno trovate e si alimenteranno da sole, "senso" del lavoro e dello stare insieme in azienda che finalmente viene trovato (e che scioglie come neve al sole l'intero apparato "culturale" della "gestione delle risorse umane" fatto di talenti-imbecilli, leader-follower, motivazioni "a prescindere", comunicazione-ascolto-acritico, comando e controllo, ecc.).

Ma allora non è questa la direzione da intraprendere da parte delle Direzioni del Personale che aspirano ad avere quei compiti "strategici" e a contare di più?
Non è forse questo il vero, importantissimo, forse unico compito che dovrebbe avere un Direttore del Personale di un'azienda del Terzo Millennio: il governo, e la fornitura di strumenti e processi, della mobilitazione sociale dell'organizzazione per costruire il proprio futuro!

Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com

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