"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 4 aprile 2014

Pollaio in fiera

di
Luciano Martinoli


Esiste una bella storiella che illustra molto chiaramente il significato profondo che in inglese si attribuisce alla parola "involvement" (coinvolgimento) rispetto a "commitment" (impegno). Per fare egg e bacon, uova e pancetta piatto tipico della prima colazione inglese, la gallina è stata "involved" il maiale "committed".

Qualche giorno fa si è tenuto un convegno sul mestiere del CEO, non importa dove e nemmno chi l'ha organizzato e chi vi ha partecipato. Si voleva capire come si arriva al vertice di una organizzazione, quali sono le esperienze indispensabili, se esistono famiglie di competenze professionali più utili allo scopo. Hanno partecipato all'incontro alcuni CEO di importanti aziende italiane e multinazionali. L'impressione che ne ho ricavato è quello di una fiera delle galline nel senso della storiella ma non per colpa dei partecipanti al dibattito, tutti capacissimi manager, bensì degli organizzatori.
Infatti si è enfatizzato più l'aspetto di "involvement", certamente presente, che quello di "committment", che se c'era non è venuto fuori in modo evidente. Ad essere proprio pignoli, però, un po' di colpa anche i relatori ce l'hanno avuta. Si sono prestati infatti ad una esposizione del loro mestiere in un'ottica a dir poco irritante nei confronti di uno stakeholder. Quest'ultimo infatti è interessato allo sviluppo complessivo dell'azienda in maniera coerente a quello dell'ambiente circostante, di business e non. 
Una rappresentazione del gioco di scalata sociale allo scopo, non dichiarato ma trapelato, di un'assunzione di maggiore prestigio personale e sociale nel quale lo sviluppo globale dell'azienda prima citato ne è strumento, e non viceversa, da l'impressione dell'esistenza di una casta. Casta molto ambita al cui accesso il convegno tentava di svelarne i segreti. Tutto molto "umano" e comprensibile ma a dir poco sconveniente  in un momento storico come quello che stiamo vivendo dove le prestazioni complessive di tutte le aziende, escluse quelle rappresentate al convegno e di chi mi legge, non stanno producendo quello sviluppo tanto ambito e ricercato.

Ma veniamo ai contenuti. Sorprendentemente, rilevato anche dai moderatori, tutti hanno parlato delle proprie esperienze. Dai loro racconti è emerso il profilo di una persona, il CEO, con  una indubbia buona cultura di base, ma senza nessuna conoscenza particolare. Ne è emerso il profilo di un signore bravo nel suo mestiere iniziale e poi ambizioso e fortunato nel trovarsi, all'inizio della carriera, al posto giusto nel momento giusto. Dopo, l'importante è non fare errori.

Quali sono allora  i compiti di un CEO? 
Le relazioni con le persone. Siano essi azionisti, importantissimi per tenere il posto e per la propria reputazione per trovare il prossimo, clienti e, sopratutto, collaboratori: la "squadra" senza la quale nessuno sarebbe riuscito nei suoi intenti. Le necessarie conoscenze sulle "persone" e sulle loro modalità di relazionarsi, che apparirebbero indispensabili per il loro lavoro, non sono state citate. Forse i CEO in questione non sono nemmeno a conoscenza della loro esistenza. Ognuno ha la sua ricetta personale, i trucchi, le magie dettate dal proprio fiuto e, ancora una volta, dall'esperienza. Solo grazie ad esse sono riusciti a raggiungere la posizione che hanno.

Non è emersa nessuna innovativa capacità di "governo", poche esigenze di creazione di sviluppo radicale e se presenti eseguite come desideri personali, nessuno strumento o metodologia che facesse riferimento alle discipline che pure si occupano di questi temi. Insomma fare il CEO non presuppone nessuna competenza o conoscenza...
E' un po' poco per la società del III millennio. Forse questa povertà è una delle cause (la principale?) dello stato di "crisi" in cui versiamo: una classe dirigente che naviga a vista, depone un "uovo" per poi correre da un'altra parte per lasciarne un altro.

Non voglio essere disfattista, nonostante la rudezza dell'immagine iniziale, e, men che meno, offensivo ma forse a questo punto, e con questi risultati globali dell'economia, vi è bisogno di una classe di capi azienda (ma ce ne è davvero bisogno o le organizzazioni del III millennio non hanno più bisogno di "capi direttivi"?) radicalmente diversa. Uomini che rimangano "nel piatto" come il bacon è condividano in profondità, promuovendoli, non i risultati ma il destino di quella comunità umana allargata che è stata finora il motore principale del nostro benessere e sviluppo sociale: l'azienda. 

5 commenti:

  1. Posso esserti sincero?? Anche molti CEO di mia conoscenza qualche dubbio lo fanno venire!!

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    1. Grazie Silverio del commento. Da qui dunque è facile capire come la famosa "crisi" non venga da virus alieni, congiunture sfavorevoli di astri e altre circostanze esterne a noi stessi.

      Da qui è da decidere se questi signori sono tutti colpevoli per malafede o più semplicemente per ignoranza di conoscenze per
      fare diversamente.
      Nella prima ipotesi ci riduciamo alla solita battaglia di opinioni dall'esito scontato: ogni parte penserà di avere ragione e gli altri saranno cattivi.
      Con la seconda è solo questione di rendere disponibile queste conoscenze e qualche speranza in più di far accadere qualcosa c'è. Stiamo lavorando partendo da questa seconda ipotesi

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  2. Caro Luciano,
    mi pare importante sottolineare come parte del problema non siano solo i CEO, ma anche "gli organizzatori" del convegno e più in generali tutti coloro che si occupano di comunicazione: dai giornalisti, ai blogger, ai formatori, ai consulenti ecc. Quanto, spesso in modo inconsapevole, si tende a confermare questo modello senza mai metterlo in discussione come fai tu in questo blog o nel tuo lavoro? Mi pare ci sia un grande problema che potremmo definire di "medizione culturale". I CEO hanno grandi responsabilità, ma sono leggittimati da un pensiero comune che chi si occupa di comunicazione tende a confermare. A volte certi giornalisti o "esperti di comunicazione" pensano ancora di essere uno specchio che riflette la realtà, ma non esiste nessuno specchiio. Scegliere di cosa parlare e come parlarne costruisce la realtà, ma questo non è facile da far capire. Che ne pensi?

    Stefano

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  3. Hai perfettamente ragione a parlare di una legittimazione di un certo operare dei CEO da parte del contesto, ma allo stesso tempo nessuno li obbliga a seguirla. Nel caso dell'evento in questione ognuno dei relatori aveva la possibilità di rendere una vista diversa del proprio lavoro. Peccato che nessuno l'abbia fatto. Non ne erano capaci o sarebbe andata contro i propri "interessi di bottega"? Vallo a capire, fatto sta che un'azionista (che gli paga lo stipendio) dovrebbe inorridire considerando anche i risultati complessivi delle aziende.

    Sui giornalisti e gli esperti in comunicazione sono daccordo ma la risposta è difficile se ti metti in un ottica "oggettiva": il mondo esiste indipendentemente da noi ed è difficile da "scoprire".
    E' invece facile se ti metti in un ottica "costruttivista":il mondo esiste per come lo costruisco insieme agli altri. E' il risultato di uno sforzo comune di progetto, anche se non coordinato.
    Noi seguiamo la seconda opzione e ciò che vogliamo offrire è strumenti affinchè si costruisca insieme il mondo migliore per tutti, nessuno escluso. Perchè non adottano questo punta di vista tutte le "classi dirigenti", CEO Inclusi?
    Secondo noi per "ignoranza" di queste prospettive. Allora basta proporgliele...

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  4. E' vero che nessuno è obbligato a seguire il contesto, ma è anche vero che il contesto è un vincolo molto forte da cui è difficile uscire. La comunicazione e il contesto non è neutra ma spesso crea un tappo cognitivo da cui è difficile uscrire. Ed è difficile uscrirne perchè non lo si vede. Per questo mi pare importante lavorare su chi, in modo inconsapevole, contribuisce a creare, mantenere, incrementare questo tappo cognitivo, legittimando e confermando le cornici cognitive senza metterle in discussione.

    Stefano

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