di
Francesco Zanotti
Infatti,
è evidente che vi sono conoscenze che sono assolutamente indispensabili per
governare le organizzazioni.
Le scienze
cognitive servono per capire l’origine dei comportamenti delle persone.
Le scienze
psicologiche e sociali per comprendere la dimensione relazionale delle organizzazioni.
La filosofia
del linguaggio per capire le dinamiche comunicative.
L’antropologia
e l’estetica per comprendere la dimensione simbolica delle organizzazioni.
Dobbiamo
anche aggiungere le scienze della natura e la filosofia per capire le visioni
del mondo possibili. Le visioni del mondo servono a comprendere e cambiare le
nostre convinzioni profonde che guidano le nostre logiche di governo.
Ed è altrettanto
evidente che nessuno dei manager e dei consulenti attuali dispone di questa
conoscenze.
Ma il
problema non è tanto la non conoscenza quanto il tentativo (certamente non etico)
per dimostrare che queste conoscenze non servono!
Si cerca
di sostituire la conoscenza con esperienza ed intuito. Ma si tratta di un
tentativo paradossale. Anche esperienza ed intuito sono frutto di teorie. Sono
frutto di teorie cognitive, psicologiche sociali, antropologiche etc personali.
Come a dire: butto a mare lo sforzo di tutti coloro che hanno sviluppato queste
aree di conoscenza e vi sostituisco i risultati del mio personale e limitato
sforzo di razionalizzazione. Il paradosso è che in realtà non si nega la
conoscenza, ma si dichiara che la conoscenza personalmente sviluppata è molto
meglio di tutta la conoscenza che secoli di ricerca e sperimentazione di
popolazioni di scienziati e filosofi.
Perché
questo paradosso?
Perché
sostanzialmente si ha paura che, se si riconosce essenziale una conoscenza che
non si possiede e che viene giudicata inaccessibile, si metta in pericolo il
ruolo manageriale o gli incarichi consulenziali di coloro che questa conoscenza
non possiedono.
La domanda
che viene da farsi è: ma questa conoscenza personale è sufficiente a garantire
lo sviluppo delle nostre imprese e, allargando il discorso a tutta la classe
dirigente, lo sviluppo di tutta la società? No! Il rifiuto di una conoscenza
profonda, il centrare tutto sulla abilità o sensibilità personale ha creato
quelle prassi collusive e conflittuali che stanno bloccando lo sviluppo di
tutto.
Ma il
post vuole essere di proposta. Cari manager e consulenti, non abbiate paura. E’
possibile disporre in tempo brevissimo di una sintesi finalizzata, che si
conclude con una precisa proposta di una nuova modalità di governo di tutte le
organizzazioni in un tempo molto breve.
Perché
rifiutarsi?
Cari manager,
cari consulenti, dateci una mano a combattere pro e non contro la conoscenza.
Post interessante.
RispondiEliminaSicuramente c’è paura della conoscenza, ma non so se è solo dovuta alla difesa del proprio ruolo. Penso che a livello di senso comune la conoscenza teorica non goda di buona fama, perché è percepita come astratta, lontana, come “fuffa”, come qualcosa che non serve o al più fa danni. E spesso è stato così, e continua ad essere così visto i danni che producono le Business School.
Forse alla base c’è una teoria di ingenua dell’uomo e del cervello che è ancora visto simile alla macchina o a un computer. Dopotutto, parlare di relazioni, emozioni, motivazioni, per chi ha questa visione, sono cazzate. L’uomo è come un asino e funziona a bastone e carota. Il resto sono cose che complicano e non semplificano. Inutile farsi seghe mentali. Ci vogliono soluzioni concrete, pratiche. Non teorie.
A mio avviso molti pensano così non solo per difendere la propria posizione, ma perchè sono convinti di essere nel giusto.
Capire a fondo questo problema e cioè l’immaginario della conoscenza e le resistenze di fronte a quest’ultima sarebbe un bel tema di ricerca.
Stefano Pollini
Aggiungerei che il concetto di concretezza nasce di fronte a cose famigliari. Quando sono di fronte a cose non famigliari, ecco che nasce la sensazione di fumosità. Ma le cose concrete producono risultati, si può controbattere, Non è vero! Guardate la situazione in cui siamo: vi sembra un buon risultato? Coloro che cercano solo concretezza di risultati non ne producono. Se non, e solo qualche volta, molto parziali e senza specificare che impatto hanno sui risultati complessivi dell'impresa. E continuano a dire che se non hanno prodotti risultati è colpa di altri. Di qualche CEO insensibile all'importanza delle risorse umane, delle risorse umane stesse che non capiscono. Insomma la colpa è di tutti coloro che non dispongono dello stesso sistema di conoscenze di chi gestisce le risorse umane. E, aggiungo, io meno male!
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