"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 30 gennaio 2013

Non si possono governare i comportamenti


di
Francesco Zanotti

Il primo problema è che non è possibile predefinire tutti i comportamenti necessari a far funzionare l’organizzazione formale. Non è possibile proceduralizzare tutto. Se fosse possibile, si potrebbe automatizzare i processi produttivi e di servizio. Questa difficoltà di proceduralizzazione, di formalizzazione dell’organizzazione cresce a mano a mano che i prodotti e i servizi diventano più complessi: una crescente a discrezionalità decisionale e comportamentale è sempre più inevitabile.

Per un istante, si può pensare di risolvere la questione attraverso i Capi: sono loro che localmente e nei singoli momenti potrebbero suggerire i comportamenti più efficaci ed efficienti agli Operativi. Ma la tentazione svanisce immediatamente: una supervisione diretta “totale” non è realizzabile.
Ragionamento ineccepibile, anche se la supervisione diretta è una tentazione permanente di moltissimi capi. E’ figlia della convinzione profonda di molti Capi che loro saprebbero fare meglio il lavoro. Che, a sua volta, è figlia della scelta di nominare capo chi ha la migliore capacità operativa.
Ma supponiamo pure (per assurdo, ovviamente) che la supervisione diretta sia possibile. Anche accettando questa ipotesi, la sfida del controllo ottimizzante dei comportamenti non sarebbe possibile. Ci si scontrerebbe con la soggettività (e i limiti) dei Capi.
Intendo dire che i Capi suggerirebbero quei comportamenti che derivano dalla loro visione dell’organizzazione, ma cosa garantirebbe che possiedono la visione “corretta”?

Si può scegliere la via degli obiettivi.

mercoledì 23 gennaio 2013

Ma la conoscenza è importante o no?




Intervista a Andrea Orlandini
di Luciano Martinoli e Maria Chiara Di Luzio 


Ancora un contributo sul tema della conoscenza, questa volta più focalizzato in virtù di ciò che è stato già detto e che è stato sottoposto al nostro interlocutore: il Dott. Andrea Orlandini, Direttore Risorse Umane e Organizzazione del gruppo Sisal, l’azienda italiana leader nel mercato dei giochi a pronostico. E’ inoltre presidente del gruppo regionale lombardo AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale).

Martinoli
Conoscenza importante o no: che idea si è fatto del dibattito che abbiamo già avviato e reso pubblico?

Orlandini
Dalla lettura delle interviste precedenti mi sembra ci sia stata una polarizzazione sugli estremi. A mio avviso ci sono due punti di vista da considerare: quella degli studiosi e quella dei manager. Ognuno deve svolgere il suo mestiere, e non bisogna confondere le due dimensioni che devono restare separate. Lo studioso studia le teorie, il manager l’applicabilità di soluzioni congeniali all'azienda.
Parte della conoscenza che un manager acquisisce deriva dall'esperienza pratica, e si renderebbe quindi necessario e profittevole trovare una via di mezzo. Anche perché, pur volendo, un manager non ha il tempo necessario per studiare il di più che gli consenta una visione di sintesi, per non passare da un opposto, lo studio di conoscenze approfondito, e l’altro, l’eventuale banalizzazione in slogan dei processi strategici e di gestione organizzativa. La soluzione dovrebbe essere un processo di divulgazione.

Martinoli
Non pensa che bisognerebbe render disponibile una sorta di “tecnologia” anche per questi temi? Una conoscenza applicativa che incapsuli quella teorica, non rendendone indispensabile necessariamente la sua conoscenza?

Orlandini
La tecnologia viene vista come uno strumento mentre quello che servirebbe è un percorso d’apprendimento di ciò che mi serve, mediato da chi è in grado di fornire questo collegamento. Ci vuole un’intermediazione tra la cultura astratta e ciò che realmente serve in ambito aziendale. Per riassumerla con uno slogan: un imparare in modo intelligente. La maggior parte delle società di consulenza ti fornisce marginalmente la fonte del modello che ti propone, e il manager l’unica cosa che considera è se gli serve o meno. Aver un intermediario della conoscenza può essere un servizio utile, poiché congiunge la capacità di aggiornare in modo intelligente e nel contempo fornisce anche eventuali spazi di applicabilità delle proprie posizioni del conoscere. Attenzione però che il puro studio teorico è lavoro dello studioso, ma il rischio che si corre è che un eccessivo concentrarsi solo sulla teoria conduca ad una forma di astrazione non collimante con la realtà e senza senso di  applicabilità.

Di Luzio
Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sulle “risorse cognitive” e sul rischio che esse, se non sono sviluppate, si spengono in ideologie…

Orlandini
Le risorse cognitive sono il nostro software e convengo con l’idea che sia necessario un ampliamento di queste, poiché un fossilizzarsi in esse porterebbe più che a una forma di ideologizzazione, ad uno spegnersi in assunzioni sterili. Il problema dell’ampliamento delle risorse cognitive è saper capire e individuare come usarle nella realtà. I consulenti a volte propongono un modello unico di applicazione, ma le aziende cambiano ad una velocità impressionante, quindi non ci si può innamorare di un modello e proporlo ad un’azienda che è destinata a mutare continuamente. Purtroppo questo è anche il risultato di un’onda lunga del passato, degli anni ’80, quando ci fu una ‘sbornia sviluppina’ nella quale le funzioni risorse umane si sono smarrite nella fase d’innamoramento di se stesse, una sindrome di narciso che chiedeva modelli e suggestioni fini e se stesse. Ora si sta tornando a chiedersi quale sia l’equilibrio e il ritorno di tali investimenti.

Di Luzio
Mi dà una sua opinione sulla “mappa” che abbiamo proposto per posizionare le varie scuole di pensiero in ambito organizzativo

Orlandini
E’ interessante ma tengo a precisare che l’importante per ogni organizzazione è sapere quanto e come sia funzionale alle proprie esigenze ciò che viene loro presentato. La vostra matrice potrebbe essere un cruscotto che mi dice dove sono, e magari dove potrei arrivare in relazione ai miei piani futuri. Molto più utile rispetto a conoscere il posizionamento di teorie di cui, in alcuni casi, ignoro anche l’esistenza e non mi serviranno mai.

Martinoli
Nella mappa viene indicata la dimensione “informale”…

Orlandini
Convengo che la dimensione informale sia una parte dell’organizzazione che sfugge, un’area che potremmo definire latente o ‘di svelamento’. Se devo pensare al suo legame con i comportamenti penso al modo in cui le persone fanno le cose. Leggendo la vostra mappa sono portato a pensare che le persone sono i loro comportamenti. Il legame tra la dimensione formale e informale è a mio avviso indirizzabile, essendo consapevole che è parte di una complessità di fronte alla quale non ci  si deve arrendere. La complessità può essere spacchettata in unità più semplici, ma non è sempre detto che la semplicità sia meno difficile della complessità. Comunque sostengo che la dimensione informale sia percepibile, non descrivibile in un organigramma, ma un bravo manager ne coglie la sua essenza.

Martinoli
L’ultimo numero del trimestrale dell’AIDP affronta il tema della valutazione e delle persone, una pratica che nella nostra matrice posizioniamo come “classica”…

Orlandini
Il concetto di misurazione abbinato alle persone è un ossimoro: la persona non è misurabile, ma è indispensabile dare delle indicazioni qualitative su ciò che sta facendo, dire se una cosa va bene o male e per farlo sono necessari dei parametri di riferimento, diversamente non farei il manager. Non si può pensare di misurare le persone con il metro ma non si può non ‘misurare’ le persone. Sarà una misurazione imperfetta e anche soggettiva ma pur sempre una misurazione necessaria ai fini aziendali.

venerdì 18 gennaio 2013

Consulenza: solo "Temporary Management"?


(ovvero: la conseguente solitudine del capo)
di
Luciano Martinoli
l.martinoli@cse-crescendo.com


Sul numero di Dicembre 2012 di Harvard Business Review Italia vi è un rapporto speciale sulla consulenza manageriale. Leggendo le interviste alle aziende committenti viene spontanea una affermazione: ma stanno parlando di Temporary Management"!
Infatti le proposte, e le richieste (e quì è difficile capire se nasca prima l'uovo o la gallina!) sono in un'ottica di sostituzione del management: ciò che dovrebbe essere fatto all' interno viene comprato da fuori. Come se ad un certo punto della "Partita" aziendale entrasse un uomo nuovo. Questa impressione è definitivamente confermata poi dal modello di pricing richiesto e offerto: la "success fee", il compenso a risultato. Proprio come un manager che, se non proprio tutto lo stipendio, ha un riconoscimento extra "a risultato".
Come farebbe un Amministratore Delegato, o un Imprenditore, ad accettare una logica di questo tipo? Ad ammettere che lui è "sostituibile" nella sua funzione di pianificazione strategica e, conseguentemente, indirizzo operativo?
E infatti...

mercoledì 9 gennaio 2013

L’ottica del “Change” è primitiva


di
Francesco Zanotti


Sembra che se non sei nell’ “ottica del Change” sei una specie di troglodita che si aggira per le organizzazioni … Magari peggio: sei uno stolto reazionario che vuole conservare l’esistente per conservare ruoli di potere che il “Change” potrebbe rimettere in discussione.
Ebbene, vorrei ridiscutere tutto questo sostenendo che l’ottica del Change è primitiva.
Essa parte dall'ipotesi che le organizzazioni tendono alla stabilità, a meno che non interviene un manager esperto che la costringe a cambiare.
Ebbene l’organizzazione ha un suo processo di evoluzione autonoma che “agisce” ogni giorno. Questo significa che, mentre noi progettiamo cambiamenti, l’organizzazione cambia per i fatti suoi in un modo che non è prevedibile.
Quello che possiamo fare è conoscere questo processo di evoluzione autonoma e governarlo …