di
Francesco Zanotti
Come tutti
sanno, l’organizzazione interna di una impresa (ma anche di un qualunque altro
attore collettivo) è costituita da una parte formale (struttura fisica, sistemi
di procedure etc.) e da una parte informale (le persone, i sistemi di
relazione, le antropologie emergenti
etc.) che definiamo “organizzazione informale”.
Ora, accade che la parte formale sia
analizzabile oggettivamente e descrivibile completamente e coerentemente.
Quindi, è anche possibile indicare esattamente come cambiarla.
Mentre la parte informale, no! Non è
analizzabile oggettivamente, quindi, non è descrivibile completamente e
coerentemente. Quindi, ancora, non si riesce ad indicare come cambiarla.
Perché
non è analizzabile l’organizzazione informale?
La ragione più evidente è che non esiste un
modello (riduzionistico) di organizzazione informale che dica quali sono i
“pezzi” di cui è costituita. E se non si sa quali siano i pezzi da analizzare,
come si fa a farlo?
Ma vi sono anche ragioni più profonde.
La prima ragione è che
l’organizzazione informale non ha una identità definita: è uno, nessuno e
centomila. E appare diversa a seconda dello sguardo che la osserva e di quando la osserva.
La seconda ragione è che lo sguardo
umano, quando si trova di fronte a qualcosa che può essere mille cose, non
riesce ad essere neutro, ma deve fare i conti con la propria soggettività che
lo porta ad avere uno specifico angolo visuale ed attivare personali processi
di interpretazione. Finisce che il cercare di analizzare è come proiettare
l’identità dell’analista (consulente o manager che sia) nell'organizzazione.
Analizzare è come guardarsi allo specchio in un certo contesto. Ci guardiamo
allo specchio e pensiamo di guardare l’organizzazione. Ma quella che vediamo è
solo il fantasma della nostra immagine in quel contesto.
In sintesi, la struttura della
organizzazione informale e il tipo di relazione che la lega con l’esterno sono
post-moderne.
L’organizzazione
protagonista
In realtà vi è una terza ragione per
cui l’organizzazione informale non può
essere descritta: perché è dotata di vita propria. Si accorge dello
sguardo e interferisce con lo sguardo generando una sua identità che dipende
dallo sguardo e lo modifica.
Voglio dire che l’organizzazione è un attore
non solo post-moderno, ma anche quantistico.
Questo significa che un’organizzazione
cambia ogni giorno ed ogni istante autonomamente. Detto più precisamente, ogni
organizzazione cambia, giorno per giorno, in un modo molto particolare:
costruisce un suo proprio processo di evoluzione che risuona con l’evoluzione
esterna dell’impresa.
Questa indiscutibile realtà assesta il colpo
decisivo non solo alla pretesa di poter descrivere una organizzazione, ma a,
più complessivamente, alla illusione dei manager di considerarsi, almeno,
generatori di un cambiamento che una organizzazione non attiverebbe mai da
sola.
Purtroppo (o per fortuna) il cambiare o meno non è una scelta del
management. Anche se il management non promuove il “Change”,
l’organizzazione non se ne sta buona buona uguale a se stessa. Parafrasando uno
dei postulati della “pragmatica della comunicazione”: non si può non cambiare.
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