"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 31 gennaio 2012

La domanda della Regina


Il "management" ha una visione d'insieme dei problemi a cui è chiamato a dare risposte?
O si occupa solo di dettagli?




Nel novembre del 2008, quando la crisi economica iniziava a manifestare i suoi effetti più devastanti, la Regina Elisabetta II in una sua visita alla London Business School chiese come mai nessuno l'avesse prevista.

Una prima risposta arrivò solo otto mesi dopo dalla British Academy, a firma di una trentina di professori delle più prestigiose università britanniche, banchieri, alti rappresentanti di istituzioni finanziarie. La parte centrale della lettera, a mio avviso, indirizza il cuore del problema. Parlando del rischio e di come venissero dispiegate ingenti risorse e le migliori conoscenze per gestirlo "...spesso (i banchieri) perdevano di vista il quadro complessivo". Gli autori proseguono con una sconfortante accusa: "Una generazione di banchieri e finanzieri ha ingannato se stessi e coloro che pensavano fossero gli ingegneri dell'economia avanzata." (E quella gente è ancora lì, anzi in alcuni casi ha fatto pure carriera!)

mercoledì 25 gennaio 2012

La causa profonda dei nostri problemi: il vecchio paradigma. Il caso dei sistemi scolastici.


Dove affondano le radici i problemi dei sistemi scolastici e, più in generale, dei sistemi formativi?
Quali i danni della inconsapevole "industrializzazione" della conoscenza?

Vi invito alla visione di questo video, la cui comprensione della lingua inglese è facilitata dalla piacevole modalità di rappresentazione di testi e immagini, perchè, a mio avviso, realizza un'analisi chiara ed efficacie dei problemi dei sistemi scolastici, e formativi in generale, attuali. Arrivando alla sorgente del problema: un paradigma "vecchio"



martedì 24 gennaio 2012

Edipower: ma che ne sanno avvocati e banchieri?!


di
Francesco Zanotti

Leggo sul Sole 24 Ore di oggi (prima pagina Finanza e Mercati), un articolo di Simone Filippetti sul caso Edipower dal titolo “Ora il mercato chiede coesione”.
L’Autore sostiene che “avvocati e banchieri stavano limando i dettagli dell’agognato accordo su Edipower”. Ma accordo su cosa? Ma un accordo sulla Governance, perbacco …
Purtroppo si parla di una Governance che riguarda la distribuzione del potere. Come se Edipower fosse una eterna burocrazia, il cui unico problema è a chi si lascia il potere di dominarci sopra.
Ma non si rendono conto che parlare di potere su di una organizzazione così complessa è infantile?
Innanzitutto è circa un anno che si sta litigando su chi conquista il potere. In questo anno cosa è accaduto dell’organizzazione? Banale: ha seguito un suo processo di evoluzione autonoma che, proprio perché non è gestito, avrà generato mille gruppi auto riferiti con ideologie contrapposte su come sia e debba essere l’organizzazione. Il vertice che prenderà il potere non può sapere nulla di questa evoluzione. Ciononostante, appena si sarà insediato, inizierà a dare ordini pensando di essere ubbidito. Ma, innanzitutto questi ordini saranno molto generali, tanto da sembrare retorici. Dovranno essere concretizzati, trasformati in comportamenti, dalle persone che operano sul campo. Ma ognuno le interpreterà, anche nell’ipotesi (non scontata) della massima buona fede, a modo suo in un modo non prevedibile.
Provo ad usare una metafora. Chi pensa che il problema sia disporre del potere perché, poi, con il potere può gestire una organizzazione, è come colui che si immagina che, vuotando un bicchiere di vino in una tinozza d’acqua, il vino se ne stia buono buono, compatto compatto in un angolo della tinozza. Assurdo! Il vino si mischia con l’acqua in un modo che dipende dal tipo di acqua e dalla forma della tinozza. Così accade nell’organizzazione: l’ordine entra nella mente e nei cuori delle persone ed anche se fosse un ordine preciso (e il vertice non riesce a dare ordini precisi come specifici comportamenti) si mischierebbe nella tinozza della mente delle persone in un modo che dipende dallo stato complessivo delle idee e delle emozioni delle persone.
Occorre attivare un coinvolgimento progettuale profondo per progettare la nuova organizzazione con le persone. Dovrebbero spingere in questa direzione soprattutto gli azionisti. Purtroppo l’ostacolo è il ruolo egemonico di avvocati e banchieri che nulla sanno di processi di sviluppo dell’organizzazione.

lunedì 16 gennaio 2012

Tragedia Costa, Sicurezza e fattore umano: praticamente non ne sappiamo nulla.


di
Francesco Zanotti
Francesco.zanotti@expoconoscenza.org f.zanotti@cse-crescendo.com francesco.zanotti@gmail.com

Si sta scoprendo che il fattore umano è la causa di una grave tragedia, ma non si approfondisce il tema: è il tallone di Achille.
Il problema, a mio avviso, è che oggi non esistono le conoscenze per capire il ruolo del fattore umano e le metodologie per gestirlo. Chi sostiene il contrario è, almeno, poco informato.
Io credo che la inevitabile strada da percorrere, per costruire una nuova sicurezza non solo nelle navi, ma in ogni dove, sia quella di avviare un grande progetto di ricerca per capire il ruolo del fattore umano e come gestirlo. Noi abbiamo predisposto un primo documento che descrive la complessità del fattore umano: potrebbe essere un buon punto di partenza per questa ricerca. Partendo da questo documento, e da eventuali sui approfondimenti, occorre andare ad esplorare lo stato dell’arte delle conoscenze e delle metodologie di gestione e sviluppo delle persone, delle organizzazioni, della sicurezza e dello stress da lavoro correlato. Da ultimo, occorre costruire una sintesi che dovrebbe fornire ad una nuova generazione di professionisti gli strumenti fondamentali per costruire una nuova sicurezza. A questo progetto di ricerca chiamiamo a partecipare tutte le imprese che hanno il desiderio di costruire una nuova sicurezza, compagnie di assicurazione comprese.
Questo progetto potrebbe diventare un archetipo di una nuova stagione di ricerca che permetta finalmente di capire i processi di evoluzione dei sistemi umani e permetta di sviluppare nuove metodologie per gestire questi processi di sviluppo autonomo.


giovedì 12 gennaio 2012

Un metatema fondamentale: l'importanza della "Conoscenza" per le professioni

Perché le professioni rinnegano la conoscenza?
Quali "trappole" disseminano il cammino e come fare per evitarle?


Un equivoco aleggia su tutti gli ambiti professionali. Interni all'azienda, come i manager, o esterni, come i consulenti. In alcuni casi più grave in altri meno. Sto parlando della conoscenza e del suo sviluppo. La prima forma di questo equivoco è nella sua interpretazione. Spesso si intende per conoscenza una o più tecnologie da applicare deterministicamente all'ambito professionale di riferimento e da qui il fraintendimento che arriva ad esprimersi più o meno così: non penso che possa esistere una Teoria Generale della mia materia. 

Il medico è un professionista, come tale fa riferimento ad un insieme di discipline (Anatomia, Fisiologia, Biologia, Genetica, Istologia, ecc.) e le utilizza, di volta in volta, per risolvere o prevenire alcuni "problemi" (malattie, disfunzioni, malesseri, ecc.). Non ha una Teoria Generale del corpo umano né si sogna di averla. La conoscenza medica, ciononostante, progredisce e ci permette di vivere, fisicamente, di più e meglio. Dunque ha una sua indiscussa efficacia, anche se non sempre documentabile numericamente.

Vi sono ambiti professionali che non riconoscono, o addirittura non hanno, questo corpus di conoscenze di riferimento. Ma anche quelli che ce l'hanno accusano la difficoltà di progredire nel suo sviluppo. Sviluppo assolutamente necessario per comprendere e indirizzare un mondo che cambia sempre più imprevedibilmente.

Penso che sia un tema di importanza soprattutto morale. E' scaduto il tempo di delegare la ricerca di improbabili miracolistiche soluzioni agli esperti e scienziati di turno. Se non si parte dalla propria personale responsabilità etica nell'affrontare questo meta tema,  non ci sarà nessun reale salto di qualità nella risoluzione dei problemi più svariati che attanagliano il nostro vivere quotidiano in questo particolare momento storico, riassumibili, molto semplicemente, nella qualità, attuale e futura, della vita di ognuno di noi nella società, nelle aziende, nelle comunità...

Evidenzio quattro trappole e propongo un metodo per affrontarle, consapevole della responsabilità che prendo e in ansiosa attesa di correzioni e suggerimenti di merito. 

lunedì 2 gennaio 2012

Per un nuovo sviluppo etico ed estetico

Credo che il modo migliore per inziare un nuovo anno di proposta e dialogo con tutti coloro che seguono i nostri blog sia quello di proporre il Manifesto dell'Associazione per l'Expo della Conoscenza. Questa Associazione è una ONLUS che ha l'obiettivo di realizzare l'Expo della Conoscenza a Milano. Il Manifesto  inizia con una analisi diversa della situazione attuale e, poi, indica una precisa strada per costruire  un nuovo sviluppo etico ed estetico che è, appunto, quella di organizzare un Expo' della Conoscenza.

 Una analisi trasgressiva e mobilitante di una crisi complessiva
La visione oggi dominante della crisi complessiva che ci sovrasta è di tipo conservativo, lineare, quindi specialistico: i problemi attuali sarebbero generati da malfunzionamenti dei diversi attori che costituiscono una società (imprese, organizzazioni, istituzioni, mercati etc.).

Se i malfunzionamenti sono specifici e locali, allora sono necessarie strategie di “riparazione” locali e specialistiche dei “guasti”. Per “riparare” si intende: riformare le istituzioni, ristrutturare, per rendere più competitive, le organizzazioni, regolamentare i mercati finanziari.

E’ una visione che viene perseguita con tenacia, ma non sta riuscendo a trasformare la crisi in sviluppo. Anche quando i singoli interventi “locali” ottengono un qualche successo, si tratta di un successo effimero che crea le basi per problemi ancora più gravi.

Gli autori di questo manifesto propongono una visione radicalmente diversa della situazione che stiamo vivendo.

La comunità umana è immersa in un’intera ecologia di crisi che, da un lato, si stanno sostenendo le une le altre con intrecci multipli e non certo monodimensionali. E, dall’altro, sono tutte manifestazioni diverse di una stessa crisi complessiva: una progressiva perdita di senso della nostra società attuale e della cultura che la sostiene.
  
Una rivoluzione progettuale
Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, allora le strategie “di riparazione” (ristrutturazione, regolamentazione, ricerca della competitività etc.) sono strategie controproducenti perché confermano, consolidano il modello sociale attuale e della sua cultura di riferimento. E, così facendo, invece di risolvere l’ecologia di crisi che ci minaccia, la nutrono, l’accelerano.

Se una società ed una cultura stanno perdendo di senso, è necessario adottare strategie completamente diverse: invece di ristrutturare è, allora, necessario “rivoluzionare”.

Per togliere ogni sapore “retro” al verbo “rivoluzionare” specifichiamo che diamo a questa parola una valenza “costruttiva”: non si tratta di distruggere il passato ed attendere che emerga, dalle macerie, un nuovo futuro. Si tratta di progettare, consapevolmente, una nuova cultura ed una nuova società.