"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

martedì 28 febbraio 2017

L’essere umano e la sua esistenzialità profonda

di
Francesco Zanotti


Nessuno può pretendere di analizzare/descrivere esaurientemente un essere umano.
Credo che il massimo che si possa fare è cercare di trovare un linguaggio che ci permetta di parlarne in qualche modo che non sia banale come l’attuale linguaggio manageriale.
Ho provato a sviluppare un linguaggio per parlare di un essere umano.
Questo linguaggio vi voglio raccontare.
Un essere umano è, innanzitutto, dotato di una sua esistenzialità profonda: immense potenzialità di espressione e di evoluzione.
Essa non è conoscibile neanche alla persona stessa e per tutti gli scopi pratici (e forse anche al di là di questi) può essere considerata infinita. Uno squarcio di Dio che cammina per il mondo. Vi sembra eccessivo? Allora provate a guardare negli occhi di una persona. E cercate di afferrare, definire i confini di questa sua esistenzialità profonda. Non vi fermerete mai di cercare. Sarete guidati verso profondità sempre più insondabili. Fino a che rinuncerete perché avrete riconosciuto l’impossibilità di dare confini all'infinito.
Ho provato a cercare un modello (un pezzo del linguaggio che andiamo cercando) per descriverla. Mi è venuto in mente il vuoto quantistico con un aggettivo aggiunto: topologico. Ma non è importante discuterne ora.
Il fatto che l’esistenzialità profonda di una persona debba essere considerata infinita comporta che non può essere analizzata esaustivamente attraverso modelli poveri come le competenze, il potenziale o qualche altro.
Quando e se si prova ad analizzarla, per poterla finalizzare a qualche nostro scopo, è come se la si umiliasse. Ma si tratta di una umiliazione che ci ritorna sulla faccia come un boomerang. Le persone hanno modo di esprimere, di far vedere quanto la loro esistenzialità profonda sai molto di più di quanto anche lo sforzo analitico più intenso riesca a descrivere nel costruire l’organizzazione informale.
E una organizzazione informale che nasca come reazione al tentativo del management di finalizzare, quasi di specializzare (quindi rompere, quindi umiliare) l’esistenzialità profonda delle persone, non viene certo finalizzata al raggiungimento degli obiettivi che lo stesso management vuole perseguire.
Il management deve riconoscere l’esistenzialità profonda delle persone non per motivi ideali, ma perché gli è indispensabile. Prima di tutto per riscoprire e coltivare la sua personale esistenzialità profonda che non può essere assorbita (quindi umiliata) in giochi di potere. E, poi, per non farsi rivoltare contro le esistenzialità profonde di tutti gli altri uomini.
Detto più brutalmente: perché cercare descrizioni che coglieranno solo frammenti artificiali di una persona e non cercare “sfruttarne” la ricchezza inesauribile?
L’esistenzialità profonda di una persona è anche “misteriosa”.
Essa non solo non è “disvelata” dalla cultura manageriale, ma non lo è neanche (pienamente) ricorrendo ai risultati delle scienze naturali ed umane.
Gli sforzi di psicologi, psicoanalisti, neuroscienziati, filosofi e poeti non arrivano ad alcuna conclusione definitiva. Infatti, c’è chi pensa che sia fatta di entità individuabili come pensieri, emozioni e sentimenti. C’è chi si spinge a pensare che la nostra esistenzialità sia nient’altro che un insieme di segnali elettrici. C’è chi pensa quasi il contrario: che sia costituita da una qualche entità misteriosa che utilizza il nostro corpo come strumento. C’è anche chi pensa che la nostra esistenzialità profonda si estenda al di là del corpo.
C’è anche chi vede l’esistenzialità profonda non come una entità, ma come un processo.
Ma nessuno è in grado di proporre una sintesi complessiva.
L’esistenzialità profonda, delle persone, alla fine, rimane un mistero che è sconosciuto alla persona stessa e che il pensiero cosciente dell’uomo in nessun modo è in grado di esaurire.
Soprattutto nella società occidentale dove le pratiche meditative sono quasi completamente sconosciute.
Io credo che si possa pensare all’esistenzialità profonda di una persona come la sua umanità, inesauribile, allo stato nascente. E uno stato nascente che non l’abbandona per tutta la vita.
Anche la metafora dei talenti è troppo povera.

venerdì 24 febbraio 2017

La storia conta …

 
Per capire il funzionamento di una macchina, non è importante come è stata costruita. Conta solo la sua struttura attuale. Struttura che la macchina non è in grado né di modificare da sola.
Una macchina è a-storica.
Un sistema complesso, il suo comportamento, invece, dipende in modo dal modo in cui è emerso dall'ambiente. Conta il suo percorso nel tempo. Conta come è arrivato ad essere quello che è. E, poi, “quello che è” dipende anche da chi lo guarda. Sguardi diversi vedono sistemi diversi.
Una organizzazione ed una persona sono sistemi complessi o semplici? Che pirla che sei, mi dirà il lettore manager, sono certamente complessi.
Ma, allora, perché li guardiamo e li trattiamo sempre come sistemi semplici?
Sì, proprio come sistemi semplici li trattiamo. Cerchiamo di analizzarne la struttura attuale (analisi delle competenze ad esempio), pensiamo che il risultato di questa analisi sia quello vero e completo. E, poi, ci immaginiamo che, mentre analizziamo il sistema se sta lì fermo e buono.
Li trattiamo come sistemi semplici, ma non lo sono. Anche se riuscissimo a conoscere la loro struttura, questo non basterebbe a prevederne o determinarne il comportamento. Mentre le analizziamo non solo l’organizzazione e la persona non stanno ferme, ma evolvono come pare a loro e se la ridono delle nostra analisi. Sanno che, quando saranno pronte, non saranno solo eminentemente soggettive, ma riguarderanno persone ed organizzazioni diverse da quelle analizzate.

giovedì 23 febbraio 2017

Sciocchezze sparse: la job descritpion

Chi non sostiene che la job description non è importante? Più in generale, chi non sostiene che più una organizzazione è definita precisamente meglio “funziona”?
Ecco … io.
Prendiamo i contenuti standard di una job description: nome della persona, funzione della posizione, collocazione gerarchica, compiti principali e caratteristiche richieste.
Il problema è che in questo modo si riesce a descrivere solo la dimensione formale di un lavoro e in modo neanche troppo preciso.
Ma non si dice nulla della dimensione informale del lavoro che, sempre più, costituisce la parte più rilevante del lavoro complessivo della persona.
Facciamo un esempio: la funzione della posizione.
Partiamo dal constatare che sarebbe necessaria una descrizione che utilizzi un qualunque linguaggio formale: dai flow chart alle diverse tecniche reticolari, che ovviamente non vengono mai usate. Il linguaggio naturale non è adatto a descrivere precisamente, operativamente alcunché, quindi chi  spera di usarlo per definire esattamente una posizione commette una grande ingenuità scientifica.
Ma poi andiamo avanti. La funzione di una posizione ha mille sfaccettature rilevantissime che non possono essere descritte e che sono strettamente dipendenti dalla persona che le occupa. Due persone diverse nella stessa posizione possono essere stimolo e freno al resto dell’organizzazione. Possono svolgere o non svolgere funzioni che nessuno aveva previsto, ma che sono essenziali al processo produttivo o di servizio. Che senso ha pretendere di definire esattamente la funzione di una posizione?
Andiamo poi alle caratteristiche richieste alla persona che la occupa.
E’ scientificamente noto che non esiste un modello che descrive le caratteristiche rilevanti della persona umana in modo da inferire qualcosa sui comportamenti. Che cosa significa determinare le caratteristiche richieste? Si rischia di definire caratteristiche ... indefinite.
Mi immagino la pletora di lettori che non si troveranno d’accordo. Ma il disaccordo può essere sostenuto solo partendo da questa base: a me non importa nulla delle conoscenze scientifiche. Io faccio come mi pare.

giovedì 16 febbraio 2017

L’ottica del “Change” è primitiva

di
Francesco Zanotti

Sembra che se non sei nell’“ottica del Change” sei una specie di troglodita che si aggira per le organizzazioni … Magari peggio: sei uno stolto reazionario che vuole conservare l’esistente per conservare ruoli di potere che il “Change” potrebbe rimettere in discussione.
Ebbene, vorrei ridiscutere tutto questo sostenendo che l’ottica del Change è primitiva.
Essa parte dall'ipotesi che le organizzazioni tendono alla stabilità, a meno che non interviene un manager esperto che la costringe a cambiare.
Ebbene l’organizzazione ha un suo processo di evoluzione autonoma che “agisce” ogni giorno. Questo significa che, mentre noi progettiamo cambiamenti, l’organizzazione cambia per i fatti suoi in un modo che non è prevedibile.
Quello che possiamo fare è conoscere questo processo di evoluzione autonoma e governarlo …
Ma gli esperti di Change non sanno nulla di tutto questo: ragionano ancora nell'ottica della “rettifica”. Si quella che si fa con il tornio o, nel passato, con la lima. Consegnate loro persone ed organizzazioni sgangherate e le metteranno in sesto a colpi di lima: il tornio è troppo sofisticato.

Soprattutto, sapranno vincere tutte le resistenze di quelle persone che rifiutano il “change”.

sabato 11 febbraio 2017

Tutti anti olivettiani

di
Francesco Zanotti

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Oggi sul Corriere della Sera Carlo Vulpio propone una ripresentazione della figura di Adriano Olivetti. Chi si dichiara non olivettiano? Nelle parole nessuno, nei fatti quasi tutti.

Mi si lasci essere breve. Io credo che la cosa più rilevante di Olivetti non siano le cose che ha detto e fatto. Ma il fatto che ha capito la “primitività” del suo tempo ed ha provato a fare il profeta usando il meglio della conoscenza esistente. La responsabilità del futuro, attraverso la conoscenza, alla ricerca della bellezza.

Se questo è davvero il messaggio di Olivetti, allora sono tutti anti-olivettiani, soprattutto i manager.  Invece di capirne i limiti cercano un ruolo nel presente. Cercano di sfruttare quello che il presente offre. Se si parla di conoscenza, allora la contrapposizione ad Olivetti è netta: i manager pensano che la conoscenza sia irrilevante. Conta solo il loro talento che pensano abbia qualcosa di magico. E quando non hanno successo è perché il loro talento non viene riconosciuto. Se si pensa alla bellezza … meglio non commentare a cosa associano la parola bellezza, se pur sanno che esista questa parola …

mercoledì 8 febbraio 2017

Dove vai se il microbioma organizzativo … non lo gestisci?

di
Francesco Zanotti

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Sembra che noi si sia tanto microbi. Sembra che il numero dei diversi tipi di batteri nel nostro corpo sia almeno dici volte più grande di quello delle cellule normali. E fanno funzionare bene l’insieme delle cellule normali. E l’organizzazione? Ha un microbioma organizzativo ancora più vasto. Ma non lo riconosce e non lo sa gestire. Ne va della salute organizzativa.

Nell’organizzazione accade una cosa analoga. Se prendere la parte “normale” dell’organizzazione, quella fatta di procedure, descrizioni di ruoli, ordini di servizio e simili, scoprire che disciplinano una parte piccola dei comportamenti degli esseri umani. Gli altri comportamenti, la maggior parte, ogni persona se li deve inventare. E per inventarli usano l’insieme delle loro risorse cognitive che è completamente sconosciuto al management. Le risorse cognitive di una persona sono come il microbioma: sono la parte informale dell’organizzazione che fa funzionare l’organizzazione formale. Può farla funzionare bene o male. Occorre, allora, gestire il microbioma organizzativo (l’organizzazione informale) perché faccia funzionare bene l’organizzazione formale. Ma come si fa?

I nostri blog da sempre forniscono proposte al riguardo. E sono proposte scientificamente fondate.

martedì 7 febbraio 2017

La cellula e la persona

di
Francesco Zanotti


Scrive Pier Mario Biava nel capitolo “Il logos e l’origine della vita”, pag. 184 in “Il senso ritrovato”
a cura di Ervin Laslo e Pier Mario Biava:
“Una cellula epatica, se decontestualizzata e posta per esempio in vitro, non sarebbe in grado di «capire» il «significato» di tossico, in quanto le mancherebbero i collegamenti con la rete da cui derivano tutte le informazioni utili per la significazione.”.
L’uomo è certamente più complesso di un cellula. Questo significa che le conclusioni del Prof. Biava valgono a fortiori.
In termini generali, formazione, “cantieri” di cambiamento e attività di gestione delle risorse umane creano situazioni “in vitro” dove le persone interpretano la realtà in modo completamente diverso dal modo in cui la interpretano nel “corpo organizzativo” in cui lavorano.
In più, creano connessioni, sviluppano competenze che hanno senso solo nel contesto in cui si sono sviluppate.
Questo significa che interpretazioni, connessioni, valori e competenze non possono essere trasferiti.
Per essere ancora più espliciti, quando una persona torna nel gruppo di lavoro, dopo essere stato “processato”, ad esempio, da un intervento di formazione, non riporta nell'organizzazione quello che ha “imparato” in quel gruppo. Torna indietro certamente un po’ diverso, ma questo significa solo che deve ricominciare a ricostruire interpretazioni, valori e competenze nel suo contesto lavorativo. Con sua grande delusione, perché si attendeva che il mondo idilliaco costituito dal contesto formativo, reso più piacevole e gratificante da un formatore che ha il suo bell'interesse a farlo, si sarebbe automaticamente trasferito nel suo contesto naturale di lavoro.
Ma di tutto questo ai manager non cale: the show (il teatrino della formazione e del cambiamento) must go on … Meglio il conosciuto (anche se non funziona) piuttosto che la ricerca di qualcosa di diverso, anche se funziona di più. Lo show di oggi deve continuare come è sempre stato.

mercoledì 1 febbraio 2017

Una nuova consulenza strategica “rinascimentale”. E basta!

di
Francesco Zanotti

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E’ solo la prima puntata di una proposta di radicale svolta della consulenza direzionale italiana …

La sfida di sviluppo fondamentale delle imprese è la riprogettazione della loro identità strategica e la ricerca delle risorse per finanziarne la realizzazione. Il processo di riprogettazione deve essere “sociale”, cioè partecipato sia dagli stakeholder interni che esterni e continua. Top manager ed imprenditori necessitano di conoscenze e metodologie per questa riprogettazione che costituisce una sfida per loro completamente nuova.

Se questo è vero, alle imprese (grandi o piccole, manifatturiere o di servizi, finanziarie e non) serve un advisor strategico di tipo nuovo che fornisca conoscenze e metodologie di riprogettazione sociale continua della strategia e si interfacci con le  istituzioni finanziarie che possono fornire le risorse finanziarie necessarie a supportare il processo di realizzazione delle strategie progettate.
Le conoscenze necessarie per soddisfare queste esigenze non sono certo le tradizionali conoscenze manageriali (dai processi di comunicazione, alla leadership) e neanche le conoscenze strategiche della vecchia tradizione “competitiva” che sono scientificamente troppo primitive. E’ necessario disporre delle più avanzate conoscenze di strategia d’impresa supportate dalle più avanzate conoscenze disponibili nelle scienze naturali ed umane.

Se questa è l’esigenza/sfida di fondo delle imprese, non servono più, anzi sono controproducenti interventi di consulenza specialistici o funzionali. Più specificatamente, lo sviluppo delle risorse umane, il miglioramento di qualità e sicurezza, la riorganizzazione ed automazione (nella logica dell’industry 4.0) dei processi sia interni che esterni all’impresa (vedi  comunicazione, MKT e vendite) sono obiettivi che vengono raggiunti all’interno del processo continuo di progettazione e implementazione strategica.
Certo che servono conoscenze tecnico specialistiche, ma esse devono essere “utilizzate” dall’advisor strategico all’interno del suo intervento di supporto alla progettazione ed implementazione strategica.

Detto tutto questo è necessario costruire una nuova consulenza strategica di tipo “rinascimentale”, ma ne parleremo la prossima volta … Magari “De visu” …