di
Francesco Zanotti
Lo strumento che una persona utilizza per interfacciarsi al mondo è costituto dalle sue risorse cognitive.
Quali
risorse cognitive servono ad un manager o ad un imprenditore per riuscire a
vedere, ascoltare e pensare intorno a tutto il mondo che deve governare? Nel nostro
caso: l’organizzazione (formale ed informale), il mercato, la società nel suo
complesso.
Deve
conoscere le diverse visioni del mondo disponibili per riconoscerle nelle
persone che gli si trovano di fronte. Deve conoscere come le persone pensano e
si relazionano. Deve conoscere come dall’interrelarsi delle persone forma
l’organizzazione e fa emergere nelle persone stesse competenze, sentimenti,
emozioni e valori. Deve comprendere quali output genera un certo tipo di
interrelazione tra le persone. Deve comprendere tutte queste cose anche nelle
relazioni con l’ambiente esterno.
Dove si trovano queste
risorse cognitive?
Si
trovano in diverse aree di conoscenza: dalle scienze fondamentali (matematica,
fisica e filosofia) che parlano delle visioni del mondo, alle scienze evolutive
che raccontano come un sistema complesso evolve, alle scienze cognitive ed alle
neuroscienze per capire le dinamiche di pensiero della persona umana, alla
psicologia, sociologia e antropologia.
Se
tutto quello che abbiamo detto è vero, queste aree di conoscenza non
sono “nice to have”, non sono cultura generale che fa bene e far star bene avere. Sono conoscenze professionali
indispensabili senza le quali il manager e l’imprenditore non riescono a vedere,
ascoltare e pensare intorno ai mondi che devono governare. Rischiano di farsene
immagini povere, soggettive e non condivise.
Ora,
quale è il patrimonio di risorse cognitive oggi a disposizione del manager?
Se
volessero (e molti lo desiderano) “aggiornare” le loro conoscenze, purtroppo non
troverebbero supporto.
Innanzitutto
le conoscenze strategico-organizzative sono andate impoverendosi. Se si confrontano
due libri di due guru del management di due epoche diverse si tocca con mano l’impoverimento.
Se si legge Images di Gareth Morgan (primi anni ’90 del XX secolo) si trova una
sintesi superba (per quegli anni) di mille modelli e metafore provenienti da
tutte le aree di conoscenza finalizzata al governo delle organizzazioni. Se si
prende l’ultimo libro di Gary Hammel si trova solo il frutto delle sue
riflessioni, senza alcun riferimento alle aree di conoscenza di cui dicevamo.
Esistono,
è vero, gli innovatori, ma sono “parrocchiali”. Si limitano a qualche area di
conoscenza specifica o, peggio, a qualche singolo autore. Poi giocano sulla
capacità affabulatorie per conquistare qualche incarico.
Allora,
la via che i manager sono costretti a seguire è, spesso, loro malgrado, autarchica.
E’
la via dell’esperienza.
Attraverso
l’esperienza, si formano una loro personale visione dei diversi temi che sono
affrontati dalle diverse scienza. L’esperienza non è solo fare: è anche riflettere
e teorizzare sul fare. L’esperienza genera una enciclopedia personale delle conoscenze
dell’umano e del sociale che prescinde dai risultati che nelle diverse aree di
conoscenza sono stati raggiunti dalla collettività dei ricercatori.
Come
costruirsi una propria fisica, antropologia, sociologia etc.
La
conseguenza è che, proprio perché nasce a questo modo, il patrimonio di risorse
cognitive di cui dispone un manager è gioco forza limitato.
Purtroppo,
però, proprio perché è autarchico, rischia di diventare anche ideologico e, quindi,
difficile da sostituire. I modelli e metafore, costruite e scoperte personalmente
interagendo con il mondo sembrano le uniche possibili.
A
legare i manager al proprio patrimonio vi è anche la difficile situazione attuale
che assorbe tutte le loro energie.
Per
le ragioni precedenti, non viene il sospetto che le situazioni difficili (sia a
livello strategico che organizzativo) nascano proprio dal partire da un
patrimonio di risorse cognitive inadeguato.
Ed
allora il manager si sente costretto da utilizzare le armi cognitive di cui
dispone, lasciando la nostalgia della conoscenza a tempi migliori. Di più, l’ammettere
che servono nuove risorse cognitive è fonte di incertezza e rischia di
indebolire l’immagine di un manager che deve essere la personificazione della
chiarezza di visione e forza di determinazione.
Così
si costruisce quello che mi sembra giusto chiamare il “circolo vizioso dell’esperienza”.
Dobbiamo
romperlo per costruire il futuro.
L'esperienza, come tutte le cose umane, è carica di ambiguità. Ci aiuta a scegliere, a decidere ma è anche un tappo cognitivo, dove spesso prevale la dimensione routinaria, piuttosto che l'impegno per la ricerca di qualcosa di nuovo. L'esperienza non è un male in sè, ma ha anche dei limiti.
RispondiEliminaNon per niente K. Weick in "Organizzare" dei grandi classici del Management sostiene che una delle competenze del manager è quella di cancellare le esperienze passate, come una gomma.
Stefano