"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

domenica 2 marzo 2014

Il circolo vizioso dell’esperienza

di
Francesco Zanotti


Lo strumento che una persona utilizza per interfacciarsi al mondo è costituto dalle sue risorse cognitive.

Quali risorse cognitive servono ad un manager o ad un imprenditore per riuscire a vedere, ascoltare e pensare intorno a tutto il mondo che deve governare? Nel nostro caso: l’organizzazione (formale ed informale), il mercato, la società nel suo complesso.

Deve conoscere le diverse visioni del mondo disponibili per riconoscerle nelle persone che gli si trovano di fronte. Deve conoscere come le persone pensano e si relazionano. Deve conoscere come dall’interrelarsi delle persone forma l’organizzazione e fa emergere nelle persone stesse competenze, sentimenti, emozioni e valori. Deve comprendere quali output genera un certo tipo di interrelazione tra le persone. Deve comprendere tutte queste cose anche nelle relazioni con l’ambiente esterno.

Dove si trovano queste risorse cognitive?
Si trovano in diverse aree di conoscenza: dalle scienze fondamentali (matematica, fisica e filosofia) che parlano delle visioni del mondo, alle scienze evolutive che raccontano come un sistema complesso evolve, alle scienze cognitive ed alle neuroscienze per capire le dinamiche di pensiero della persona umana, alla psicologia, sociologia e antropologia.

Se tutto quello che abbiamo detto è vero, queste aree di conoscenza non sono “nice to have”, non sono cultura generale che fa bene e far star bene avere. Sono conoscenze professionali indispensabili senza le quali il manager e l’imprenditore non riescono a vedere, ascoltare e pensare intorno ai mondi che devono governare. Rischiano di farsene immagini povere, soggettive e non condivise.

Ora, quale è il patrimonio di risorse cognitive oggi a disposizione del manager?
E’ fatto dagli studi da cui proviene che sono, inevitabilmente, specialistici. Coprono soltanto qualcuna delle aree di conoscenza professionalmente necessaria. E si fermano allo stato dell’arte di queste aree di conoscenza ai tempi dei loro studi.

Se volessero (e molti lo desiderano) “aggiornare” le loro conoscenze, purtroppo non troverebbero supporto.
Innanzitutto le conoscenze strategico-organizzative sono andate impoverendosi. Se si confrontano due libri di due guru del management di due epoche diverse si tocca con mano l’impoverimento. Se si legge Images di Gareth Morgan (primi anni ’90 del XX secolo) si trova una sintesi superba (per quegli anni) di mille modelli e metafore provenienti da tutte le aree di conoscenza finalizzata al governo delle organizzazioni. Se si prende l’ultimo libro di Gary Hammel si trova solo il frutto delle sue riflessioni, senza alcun riferimento alle aree di conoscenza di cui dicevamo.
Esistono, è vero, gli innovatori, ma sono “parrocchiali”. Si limitano a qualche area di conoscenza specifica o, peggio, a qualche singolo autore. Poi giocano sulla capacità affabulatorie per conquistare qualche incarico.

Allora, la via che i manager sono costretti a seguire è, spesso, loro malgrado, autarchica.
E’ la via dell’esperienza.
Attraverso l’esperienza, si formano una loro personale visione dei diversi temi che sono affrontati dalle diverse scienza. L’esperienza non è solo fare: è anche riflettere e teorizzare sul fare. L’esperienza genera una enciclopedia personale delle conoscenze dell’umano e del sociale che prescinde dai risultati che nelle diverse aree di conoscenza sono stati raggiunti dalla collettività dei ricercatori.
Come costruirsi una propria fisica, antropologia, sociologia etc.
La conseguenza è che, proprio perché nasce a questo modo, il patrimonio di risorse cognitive di cui dispone un manager è gioco forza limitato.
Purtroppo, però, proprio perché è autarchico, rischia di diventare anche ideologico e, quindi, difficile da sostituire. I modelli e metafore, costruite e scoperte personalmente interagendo con il mondo sembrano le uniche possibili.
A legare i manager al proprio patrimonio vi è anche la difficile situazione attuale che assorbe tutte le loro energie.
Per le ragioni precedenti, non viene il sospetto che le situazioni difficili (sia a livello strategico che organizzativo) nascano proprio dal partire da un patrimonio di risorse cognitive inadeguato.
Ed allora il manager si sente costretto da utilizzare le armi cognitive di cui dispone, lasciando la nostalgia della conoscenza a tempi migliori. Di più, l’ammettere che servono nuove risorse cognitive è fonte di incertezza e rischia di indebolire l’immagine di un manager che deve essere la personificazione della chiarezza di visione e forza di determinazione.
Così si costruisce quello che mi sembra giusto chiamare il “circolo vizioso dell’esperienza”.
Dobbiamo romperlo per costruire il futuro.



1 commento:

  1. L'esperienza, come tutte le cose umane, è carica di ambiguità. Ci aiuta a scegliere, a decidere ma è anche un tappo cognitivo, dove spesso prevale la dimensione routinaria, piuttosto che l'impegno per la ricerca di qualcosa di nuovo. L'esperienza non è un male in sè, ma ha anche dei limiti.
    Non per niente K. Weick in "Organizzare" dei grandi classici del Management sostiene che una delle competenze del manager è quella di cancellare le esperienze passate, come una gomma.

    Stefano

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