"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

venerdì 31 marzo 2017

Intuizioni riflessioni ed esperienze

di
Francesco Zanotti


Immaginate un muratore che viene da voi e vi dice: ti racconto le mie intuizioni, le mie riflessioni e le mie esperienze sul calcolo strutturale.
Immaginate un ingegnere che vi dice: vi racconto le mie intuizioni, le mie riflessioni e le mie esperienze sul calcolo strutturale.
A chi dareste ascolto?
Al secondo, ovviamente. Perché? Perché immaginate che egli parta dalla conoscenza dello stato dell’arte del calcolo strutturale e vi racconti il suo contributo e le sue esperienze per migliorarlo. Perché pensate che il muratore, invece, non può essere al corrente dello stato dell’arte del calcolo strutturale
Arriviamo al management. Vi sono quasi soltanto muratori che vogliono fare gli ingegneri.
Persone che raccontano intuizioni ed esperienze, ma non partono (per loro esplicita ammissione) dallo stato dell’arte di quello che si conosce sull'uomo e su quei sistemi di uomini che sono le organizzazioni. Ma partono da proprie visioni dell’uomo e delle organizzazioni che prescindono quasi totalmente dalle conoscenze esistenti. Muratori del management che costruiscono solipsistiche ideologie personali, pretendendo che abbiano valore universale.
Pensandoci bene, devo, però, chiedere scusa ai muratori. Essi non si sognano neppure di rimanere indifferenti rispetto alla conoscenza: cercano nuova conoscenza, la studiano e la usano. Sì, i muratori investono tempo (quindi denaro) in una ricerca e studio continui che cambiano continuamente il loro mestiere.
Rimando al post di Luciano Martinoli che ha già raccontato dei muratori moderni nel post

mercoledì 29 marzo 2017

Quante volte la vostra organizzazione vi ha sorpresi?

di
Francesco Zanotti


E quante volte queste sorprese sono state negative?
Molte ... purtroppo …
Ma siamo stati anche sorpresi positivamente, mi si obietterà! Sì, da eventi particolari, magari ad alto impatto emotivo, ma del tutto indifferenti dal punto di vista dei risultati …
Rifaccio la domanda: quante volte siete stati sorpresi da proposte od azioni della vostra organizzazione che hanno rivoluzionato in positivo ... che ne so ... l’EBITDA della vostra impresa in un modo che neanche immaginavate?
Credo poche …
Di fronte al crescere di sorprese negative abbiamo due alternative. La prima è lanciare anatemi contro qualche cattivone: ad esempio la crisi. La seconda è ammettere che le attuali modalità di gestione delle organizzazioni lasciano alquanto a desiderare ..
Voi che pensate?

lunedì 27 marzo 2017

La perversione del delegare

di
Francesco Zanotti


Non parlo della delega di un Capo di linea ai suoi collaboratori. Parlo delle deleghe trasversali.
Le deleghe che la linea fa allo staff: la delega del cambiamento, della gestione delle risorse umane, della formazione.
Rappresenta la manifestazione più lampante del fatto che, nel profondo, si considera ancora l’organizzazione come una macchina.
Infatti si consegnano agli uomini di staff (che accettano, anzi chiedono) le persone e le organizzazioni perché diano loro una sistemata e, poi, le ritornino migliorate e funzionanti.
Come si fa con un pistone grippato: lo si manda a tornire.
Ovviamente non accade quello che si sperava.
Accade che:
formazione, “cantieri” di cambiamento e gestione delle risorse umane
sono “specializzazioni” che rompono l’organizzazione in frammenti autoreferenziali che ne compromettono efficacia, efficienza e sviluppo …
Perché questo insistere con una mentalità ingegneristica del tutto adatta a pistoni ed ingranaggi, ma del tutto inadatta a persone ed organizzazioni?
Perché siamo ancora tutti ideologicamente schiavi di quella visione del mondo che è costituita dalla fisica classica.

giovedì 23 marzo 2017

Si costruisce quotidianità …

di
Francesco Zanotti

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Come i lettori di questo blog sanno, io sostengo che l’organizzazione informale è il contesto nel quale emergono i comportamenti. Se si vogliono governare i comportamenti occorre governare questo processo di emergenza.
Stamattina leggevo un libro che apparentemente non c’entra nulla con questi temi “Inventare il mondo” di Jaques Lévy e altri, edito da Bruno Mondadori. E’ un libro di geografia, anche se intesa in senso nuovo.
Arrivato all’ultimo capitolo ci trovo descritto un fenomeno umano che ha un profondo significato organizzativo. Che mi ha suggerito un nuovo modo di guardare alla organizzazione informale ed alla sua assoluta rilevanza. In quel capitolo si parla di situazioni in cui l’uomo viene oppresso da un potere soverchiante: i campi di concentramento nazisti. Nonostante questo potere che sembra non lasciare scampo, l’uomo riesce sempre a ricostruire un proprio quotidiano di libertà. La citazione d’obbligo è il famoso libro di Primo Levi: Se questo è un uomo.
Ora, certamente l’impresa non esercita un potere di questo tipo sulle persone. Ma un certo potere sì: attraverso la sua dimensione formale. E di più, cerca esplicitamente di governare i comportamenti attraverso la dimensione formale. Bene è necessario ricordare, per poter gestire organizzazioni, che le persone sono portate a costruirsi un proprio quotidiano (che io ho chiamato organizzazione informale) che è il vero ambiente cognitivo, sociale ed antropologico nel quale emergono i comportamenti.
Detto diversamente, teniamo tutti presente che i comportamenti delle persone sono indirizzati a questo costruire quotidianità e non a raggiungere gli obiettivi aziendali.
Il “maneggiare” non può che essere la capacità di far coincidere il costruire quotidianità con il raggiungere obiettivi aziendali.

  

martedì 21 marzo 2017

“Auto-onniscienza” di tanti “esperti” HR

di
Francesco Zanotti

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Un piccola storiella rivelatrice. Ma la mia tesi non può che essere condivisa da Manager e consulenti HR: basta che guardino alla loro vita di tutti i giorni. L’alternativa è giudicare inutile la scienza.

La storiella.
Il luogo: uno dei dibattiti su Linkedin. Il primo “dibattente” ad un secondo dibattente (io): sai io prima di esprimere una opinione mi aggiorno in rete. Secondo dibattente: e che cerchi in rete? Risposta: cerco quello che riguarda le HR. Non ho più ribattuto: tempo perso in quel tipo di dialogo. Ma tema rilevante che mi sembra il momento di riprendere.
Per trattare delle risorse umane è necessario tener conto di tutte le aree di conoscenze che hanno qualcosa da dire sulle risorse umane. Dalle scienze naturali che forniscono i modelli di pensiero fondamentali: matematica, fisica, biologia … Alle scienze umane che forniscono contenuti specifici: neuroscienze, psicologie, sociologia, antropologia, storia. Se ci si ascolta solo tra specialisti si costruisce una buca autoreferenziale che finisce per avere senso solo per coloro che la scavano.

La mia tesi mi sembra non “falsificabile”. Credo che sia difficile sostenere che le scienze naturali ed umane siano inutili. Anche perché chi sostiene che siano inutili, in realtà, quando scrive e opera sulle persone, è costretto ad usare una sua versione delle scienze naturali e umane. Come se pretendesse di riscoprirle da capo. Intendo dire che si fonda su di una sua scienza psicologica, sociologica, antropologica e storica sviluppata solipsisticamente, nella sua vita. Questa onniscienza “personale” non può che essere molto più primitiva della scienza sviluppata dall’Umanità nel corso della sua Storia.

Esagero? Ed allora chi dice che esagero guardi dentro di sé … E’ sicuro chi dichiara che le conoscenze rese disponibili dalle scienze naturali e umane sono inutili di sapere quali siano queste conoscenze? Quanto tempo passa a cercare di conoscerle?
Se le risposte sono: non conosco e non dedico tempo a conoscere, allora la mia tesi è dimostrata. Se la risposta è: ti dimostro che tutte le conoscenze scientifiche sono inutili mi pacerebbe sapere le ragioni.

Concludo: credo proprio che erto non sia accettabile eticamente e socialmente l’atteggiamento: non conosco, non voglio conoscere e non dico neanche a me stesso il perché. Non lo dovrebbe essere accettabile neanche da parte degli azionisti delle società dove i manager e i consulenti HR di tipo “auto-onniscienti” operano.

domenica 19 marzo 2017

Il management 435.9

di
Francesco Zanotti

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Sta diventando stufosa la storia dei management “puntati”. E’ uscito il management 2.0. Allora, poi, chi pensava di proporre qualcosa di nuovo, è stato costretto a scrivere il management 3.0 …
Saltiamo tutto a piè pari e diamoci un traguardo: il management 435.9. Speriamo di interrompere questa stucchevole rincorsa alla versione successiva: sarebbe ridicolo che qualcuno, per vendere qualche corsetto in più, ci contrapponga il management 435.10.
Poniamoci l’obiettivo di un management realmente nuovo (i management puntati di oggi sono banalità) che, però è necessario costruire socialmente.


A me sembra che la direzione lungo la quale costruire sia stata correttamente indicata da Gary Hamel, come abbiano già scritto nel post “mica soli”. E è la strada della conoscenza.
Allora camminiamo in questa direzione.

In questo blog vorrei, di volta in volta, pubblicare contributi specifici alla ricerca di una sintesi alla costruzione della quale tutti possono dare una mano.
Inizio con un contributo dell’ultimo numero della HBR dal titolo “Its time to split HR” a firma di Ram Charan, famoso consulente internazionale.
Egli sostiene, da un lato, che gli HR manager “[…] non conoscono come sono le decisioni vengono prese ed hanno grandi difficoltà ad analizzare perché le persone (o pezzi di organizzazione) non raggiungono gli obiettivi loro assegnati”.”.
Il mio commento, al quale mi piacerebbe conoscere reazioni, è: ma è vero quello che dice Ram Charan? E, se è vero, che ne è del mito dell’esperienza che sostiene soprattutto i consulenti ex manager HR? Cosa vale una esperienza che non è consapevole dei meccanismi del business e non sa trovare le cause dei risultati deludenti? Non è il caso di piantarla con questo mito (da Ram Charan dichiarato falso) che serve come “scusa” per non cercare conoscenza?

Poi, Ram Charan aggiunge che occorre splittare la funzione HR in due parti. Una parte che possiamo definire “Amministrazione”, che dovrebbe allocarsi sotto il CFO. Ed una parte di sviluppo che dovrebbe avare come obiettivo quello di comprendere la dimensione sociale dell’organizzazione e il suo impatto sulle performances. Che ne pensano gli attuali HR Manager? Che strumenti hanno per valutare l’impatto della dimensione sociale dell’organizzazione sui risultati? E che ne pensano dello splittamento della funzione HR? A me sembra che questo splitamento ci sia già di fatto ci sia già nelle strutture HR italiane. E che il problema di riuscire a comprendere il ruolo e l’impatto della dimensione sociale dell’organizzazione sui risultati non possa derivare da un intervento sull’organizzazione formale (splittare funzioni), ma con l’acquisizione delle conoscenze e delle metodologie servono a comprendere la socialità di una organizzazione.

  

domenica 12 marzo 2017

La valorizzazione “pelosa” del Capitale Umano

di
Francesco Zanotti

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Nessuno si azzarda a negare l’importanza del capitale umano. Al contrario, tutti affermano la necessità di valorizzarlo. Tutto, però, rimane retorica. E pelosa per giunta! Qualcuno ha voglia di reagire? O siamo tutti spaventati a difesa (impossibile) di aree professionali e consulenziali sempre più ristrette?

Il top management crede che la valorizzazione del capitale umano non sia un suo compito. Lo delega agli specialisti.Come se le persone siano pezzi dell’apparato organizzativo che vanno fatte funzionare da tecnici specializzati. Se guardate ai Business Plan delle imprese più importanti di questo paese (le aziende dell’indice FTSE MIB) di Borsa Italiana non si trovano che vaghi accenni al capitale umano. Soprattutto nessun accenno a come questo capitale umano può dare una mano a far uscire tutte queste imprese dalla illusione di essere istituzioni eterne.

I Manager specialistici non utilizzano le risorse cognitive disponibili. Come si fa a gestire qualcosa di cui non si conosce nulla? Come si fa a progettare attività di cambiamento e di formazione senza usare le conoscenze che riguardano l’uomo (scienze cognitive e psicologia, in testa), che riguardano i rapporti tra gli uomini (psicosociologia), la dimensione sociologica ed antropologica delle organizzazioni? Mi si ribatterà: ma la psicologia la usiamo. Certo, solo quella particolare psicologia (ma ce ne sono tante) che si conosce e null’altro. Non è retorica dire che si gestisce senza usare le conoscenze che servirebbero? Non è banale voglia di autorappresentazione a basso prezzo senza alcuna fatica di studio ed approfondimento?

I consulenti considerano la valorizzazione del capitale umano come un’occasione per vendere banalità. O, almeno, qualche approccio mono dimensionale che non si rapporta in nessun modo con gli altri approcci e non tiene in alcun conto le altre conoscenze rese disponibili dalle scienze umane e naturali.

Esiste un top manager, un manager specialistico o un consulente che ha voglia realmente di attivare un processo di valorizzazione strategica delle persone?
Non può che intraprendere la via della conoscenza, dell’utilizzo e dello sviluppo delle risorse cognitive esistenti. Altrimenti è tutto finzione.

Ovviamente chiunque volesse contestare (e più forte sarà la contestazione, meglio sarà) la mia opinione troverà su questo blog ampio spazio.


mercoledì 8 marzo 2017

Tutto è strategico … quindi banale

di
Francesco Zanotti

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Chi rinuncia a dire che le cose di cui si occupa sono strategiche?
I diversi specialisti dichiarano che è strategica la finanza, lo sono le risorse umane, lo è la tecnologia, lo sono i dati …
M si tratta di un’affermazione almeno superficiale. Innanzitutto si richiama ad una definizione di “strategico” che somiglia a “molto … importantissimo”. Affermare che è una cosa è strategica significa cercare di usare qualcosa che è ancora più forte di importantissimo. Sostanzialmente, allora dichiarare che quello che si fa è importante è cercare di garantire spazio vitale al proprio ruolo.
Sembra che all’interno delle organizzazioni vi sia una competizione acerrima per l’attenzione del Grande Capo e per le risorse che egli deve allocare. Non è solo un discorso di convenienza o di potere. Non lo è mai quando ci sono in ballo gli esseri umani. E’ un discorso “affettivo”. E’ dello stesso tipo di competizione per l’attenzione, le coccole e il giudizio del papà.

Tutto questo, ovviamente, impedisce che si sviluppi un discorso serio sull’effettivo ruolo delle diverse risorse ed attività nel promuovere lo sviluppo dell’impresa. Lo “strategico” cancella la “strategia”.

giovedì 2 marzo 2017

E’ insensato colpevolizzare la burocrazia!

di
Francesco Zanotti

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Angelo Panebianco presenta un libro di Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri sull’eterno problema della burocrazia. “Tutto sbagliato, tutto da rifare” direbbe Bartali.

Il libro è “I Signori del tempo perso. I burocrati che frenano l’Italia e come fare a sconfiggerli.”, edito da Longanesi.
Perché “Tutto sbagliato, tutto da rifare”?
Le ragioni sono così tante che riesco ad elencarne solo alcune. Ho scelto quelle che mi sembrano più rilevanti per le organizzazioni in senso generale.

La prima è che non ha senso metterla sul piano etico: si veicola l’idea che la burocrazia non funziona perché i burocrati sono “cattivi”. La burocrazia, invece, è solo un sistema sociale e, come tale, autopoietico, quindi capace di vita propria e in accoppiamento strutturale con l’ambiente esterno. Più semplicemente: i comportamenti messi in atto dalla burocrazia (ma anche da qualsiasi altro sistema sociale, dal gruppo dei Top manager, ai Consigli di amministrazione, alle assemblee di condominio) sono dettati dalle logiche interne del sistema. Detto al contrario: i sistemi sociali, tutti i sistemi sociali, non possono essere finalizzati a logiche esterne. Solo le macchine possono essere rese funzionali a logiche esterne. In sintesi, quindi, non bisogna prendersela con i burocrati perché anche voi che criticate, se foste al loro posto, vi comportereste secondo le stesse logiche. E la dimostrazione è immediata: il sistema sociale costituito dagli economisti ha costruito una “scienza” che ha senso solo all’interno di questo sistema, ma diventa priva di senso per chi di quel sistema non parte. Soprattutto non c’entra nulla con la realtà economica che sta, evidentemente, fuori del loro sistema.

La seconda è che le soluzioni proposte per “sconfiggere” i burocrati sono sbagliate perché sono figlie della sistemicamente irragionevole colpevolizzazione dei burocrati. Non ve le racconto per ragioni di spazio e perché preferisco la proposta alla critica. E la critica che ho già fatto è più che sufficiente. La proposta è molto semplice: occorre entrare nel sistema burocratico. In pratica, occorre affidare alla burocrazia stessa il compito di riprogettarsi. L’unica avvertenza è quella di fornire ai burocrati nuove risorse cognitive per realizzare questa auto-progettualità. E’ l’uso di nuove risorse cognitive che garantisce che i burocrati non se ne escano con la conferma della situazione attuale. Quali nuove risorse cognitive? quelle che permettono di conoscere le dimensioni informali delle organizzazioni.

Quello che ho detto, vale per ogni tipo di cambiamento. Funziona solo il processo di auto-progettazione “empowerato” con il fornire nuove risorse cognitive. Il resto è solo resistenza.