"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

lunedì 29 aprile 2013

AIDP: il perchè di un impegno

di


Ci siamo impegnati nell’Associazione (con iscrizione personale e partecipando ai dibattiti sul gruppo Linkedin, alle manifestazioni AIDP e offrendo contenuti attraverso questo blog) per ragioni che ci sembra giusto specificare, soprattutto da parte di consulenti, quali noi siamo.

La figura del consulente in una associazione professionale è sottilmente ambigua. Lo è perchè il rapporto tra consulenti e manager è sottilmente ambiguo.
Un aneddoto può iniziare a dare il sapore di questa ambiguità. In una occasione conviviale siamo stati presentati con la ”premessa”: “Ti voglio presentare questi Signori. Sono consulenti, ma non ti vogliono vendere nulla”.
Si potrebbe, poi, parlare dell’esistenza di “consulenti provvisori”: manager che cercano spazio nella consulenza, ma ambiscono a tornare a fare i manager. Consulenti che sognano da sempre di fare i manager.
Non ci dilunghiamo a descrivere una ambiguità che tutti percepiscono.

Come consulenti, invece, dovremmo dimostrare che siamo all'avanguardia mondiale nella elaborazione teorica. Dovremmo verificare, prima di esprimere un pensiero, quale è lo stato dell'arte a livello internazionale e dimostrare che siamo un bel po' più avanti.
I giovani dovrebbero metterci alle corde. Se non riusciamo a stupirli con una conoscenza profonda unica, rivoluzionaria a livello internazionale, ci chiedano, cortesemente, di tacere.
Non sappiamo cosa ne pensa la maggior parte dei Soci AIDP, ma ci piacerebbe che la mission che desiderano affidare alla Associazione sia la conoscenza, alta, forte, rivoluzionaria e non i racconti dei nonni davanti al caminetto.
Ovviamente il nostro discorso non intende in alcun modo esprimere giudizio sulle persone che, proprio perchè persone, sono dotati di una esistenzialità unica che nessuno può permettersi di giudicare. Intendiamo solo sottolineare percorsi di sviluppo da intraprendere, abbandonando molti di quelli che stiamo oggi percorrendo faticosamente.

Le ragioni del nostro impegno, dunque. Ragioni che potrebbero sciogliere l’ambiguità di cui sopra in un nuovo rapporto tra consulenti e manager.
Noi crediamo che la capacità di un manager di governare lo sviluppo di imprese ed organizzazioni sia strettamente dipendente dalle risorse cognitive di cui dispone. Più ricco è il bagaglio di risorse cognitive di cui dispone, maggiore è la sua capacità di Governo. Come sempre, poi, il mercato è il riferimento: la capacità di Governo di un team manageriale deve essere, almeno, superiore a quella dei team manageriali dei concorrenti. Poi si potrebbe sostenere che dovrebbe essere tale da riuscire ad avviare rivoluzioni strategiche capaci di costruire nuovi mercati.
Dunque, le risorse cognitive come risorsa strategica chiave.

Oggi però viviamo una profonda contraddizione: da un lato, ammettiamo che ci sono molte cose che non conosciamo. Dall’altra, in pratica, affermiamo che nessuna di queste cose è significativa per le sfide che abbiamo di fronte che, pur, ci lasciano incerti. Infatti, quando ci appare una difficoltà, non andiamo a cercare se esista qualche nuova conoscenza che possa risolvere la difficoltà. Ancora: non immaginiamo che il vedere solo problemi, difficoltà è proprio causato dall’usare conoscenze superate. In sintesi, pensiamo che la conoscenza sia retorica.

Ma come fa un manager a reperire conoscenze rilevanti in un ambiente che produce fiumi di nuove conoscenze sempre più tumultuosi, ma anche melmosi?
Fisicamente non può! Ha bisogno di una interfaccia intelligente che scelga le conoscenze più rilevanti (in tutti gli ambiti, dalle scienze naturali alle scienze umane) a livello internazionale per la sfida del governo delle imprese e delle organizzazioni complesse. E le elabori per arrivare a metodologie di governo sempre più “potenti”.
Tocca al consulente svolgere questo ruolo, è (dovrebbe essere) IL SUO MESTIERE.

Noi cerchiamo di svolgerlo al meglio. Solo a titolo di esempio (il nostro, non per autocelebrarci ma perche è quello che conosciamo meglio): abbiamo avviato un progetto di ricerca senza soluzione di continuità al quale partecipa una comunità “multiforme” di “esperti” e che abbiamo definito “Expo della Conoscenza”.
I risultati più rilevanti sono costituiti, innanzitutto, dalla scoperta dei processi di sviluppo autonomo di una organizzazione all’interno di una impresa e dell’impresa nella società. Dalla conseguente scoperta che “governare” significa governare quei processi di sviluppo autonomo che accadono, ma dei quali non siamo consapevoli. E dallo sviluppo di una metodologia di governo dei processi di sviluppo autonomo che abbiamo chiamato “Sorgente Aperta” .
Queste scoperte rivelano la inconsistenza delle teorie manageriali esistenti. E di molte pratiche.

Detto tutto questo riusciamo a spiegare il nostro impegno in AIDP: rendere disponibili tutte queste risorse cognitive ai Soci con tutte le iniziative a cui aderiamo e che organizziamo. Per un confronto sulle conoscenze, e le loro basi scientifiche, che proponiamo però non su opinioni o difese di posizioni in questo momento non più difendibili. Un confronto aperto, pacato, senza pregiudizi, per far sì che la conoscenza in questo ambito, quello manageriale, progredisca socialmente, come accade per altri ambiti,  e a partire dal nostro Paese, come è già accaduto in passato (quel tanto citato e invocato Rinascimento di cui abbiamo dimenticato però che la causa prima fu proprio una nuova, o meglio "dimenticata", conoscenza: quella classica, gettata nella società medievale).

 In questo modo si specifica il ruolo del consulente: deve fornire le risorse cognitive (le più avanzate conoscenze al mondo) che permetteranno ai manager di svolgere sempre più efficacemente il loro ruolo di Governo. Come si vede due ruoli complementari che non possono fare a meno l’uno dell’altro.










martedì 23 aprile 2013

E’ possibile misurare un sistema umano?


di
Francesco Zanotti


Sul gruppo di LinkedIn di AIDP si è aperta una discussione che mi sembra meriti di essere riportata nel nostro blog.
In particolare vorrei esporre più dettagliatamente, anche se sempre in modo non completo, la mia posizione, come mi è stato richiesto, sul tema.

La posizione di alcuni partecipanti è che è possibile misurare una organizzazione. In particolare sono possibili ed utili misure del clima.
Si tratta di un tema del quale riconosco la delicatezza: tutto un mondo consulenziale fonda la sua sopravvivenza sul fatto che una organizzazione (ma anche un mercato) sia analizzabile. E, quindi, sulla sensatezza di offrire servizi di analisi. Distruggere questa possibilità rende problematica la posizione degli “analizzatore”.
Ma “Amicus Plato (o Socrates), sed magis amica veritas”.
Il nostro riferimento non è alle esigenze dei consulenti, ma alle esigenze delle imprese che necessitano di strumenti, metodologie e processi di governo radicalmente diversi. Come quelli che sto descrivendo nel libro di cui abbiamo iniziato la pubblicazione a puntate e che presenteremo a Milano il 29 maggio.

In questo quadro, l’obiettivo del post è quello di illustrare i riferimenti in base ai quali sostengo che misurare un sistema umano non ha senso. Come non ha senso un management ed un sistema di servizi di consulenza che si offre di compiere questa operazione.

Il primo riferimento è Domenico Parisi e il suo Le sette nane dove tratta in modo abbastanza convincente lo status delle scienze umane. Esse non sono certo scienze esatte. Hanno cercato di usare la fisica classica come modello epistemologico unico, ma ne è nata una parodia. E proprio nel secolo in cui la fisica ha relativizzato la fisica classica come modello epistemologico unico. Se le scienze umane non sono “isomorfe” alla fisica classica, non hanno senso tutte le operazioni che sono possibili in un sistema che rientra nell'ambito della stessa fisica classica. In particolare non ha senso l’operazione di misura.

Il secondo è Peppino Vitiello nel libro Strutture di mondo con il suo contributo Dissipazione e coerenza nella dinamica cerebrale dove si dimostra chiaramente, che per quanto riguarda l'uomo e i sistemi sociali, non esistono identità fisse, quelle che ci appaiono identità sono momentanee e sono frutto di processi di emergenza. Se non esistono identità fisse, ma identità che continuamente evolvono grazie alle interazioni, che senso ha voler misurare caratteristiche di identità come il clima di una organizzazione o i valori e le competenze? Non sono oggetti che se ne stanno fermi e si lasciano misurare.

Il terzo è alla fisica quantistica (non ha senso indicare un autore specifico ma se proprio si vuole: David Bohm). Ovvio che la fisica quantistica non è solo scienza dell'infinitamente piccolo (che ci fa funzionare tutti i dispositivi elettronici), ma è la prima teoria della misura nel caso in cui la forza della misura è dello stesso ordine di grandezza dello strumento misurato. La fisica quantistica rivela, innanzitutto, che misurare significa cambiare. In particolare, nel caso di una misura organizzativa (non solo del clima) questo significa che ogni tentativo di misura crea per tutto il tempo della misura una nuova organizzazione (organizzazione più team di misurazione). La descrizione del clima è la descrizione del clima di questa organizzazione artificiale, per di più vista dal punto di vista di una parte: un misuratore che, appena che ha finito di misurare se ne dovrebbe andare. Cioè si misura il clima di una organizzazione artificiale.

Il quarto è tutto il mondo della complessità. Un autore tra tutti: il compianto Von Foerster con il suo Sistemi che osservano.

Il quinto è costituito da tutte le osservazioni che i filosofi dell'ermeneutica hanno proposto, fino a Jaques Derrida e la suo decostruire e ricostruire. Credo che l'inevitabilità della interpretazione tolga il terreno di sotto a tutti coloro che credo che la loro interpretazione sia una raffigurazione oggettiva del sistema umano che "osserva"
Ma possiamo citare, in campo strettamente manageriale, anche i lavori di Ugo Morelli su estetica e bellezza.

Altro polo di riferimento sono tutti gli studi epistemologici, dove, da Feyerabend in poi, si è capito che una conoscenza oggettiva è impossibile in assoluto. Tanto meno è possibile una conoscenza oggettiva dei sistemi umani. In particolare il concetto di causa ed effetto, che è la metafora più completa della fisica classica, non è sostenibile per i sistemi complessi a causa delle interazioni a distanza (entanglement) che vale anche per i sistemi fisici, come descrive Vitiello, ma come mille fenomeni fisici confermano.

Si potrebbe aggiungere che non si può far confusione tra correlazioni statistiche, come quelle che "rilevano" i questionari, e leggi che governano i rapporti tra causa ed effetto. Una correlazione statistica non identifica un rapporto di causa ed effetto.

Poi, quando si parla di quantificare, occorrerebbe tener sempre presente due fattori. Il primo sono i teoremi di incompletezza di Godel e l'altro che i computer trattano solo approssimazioni numeriche, visto che operano solo con i numeri razionali. Neanche usando loro si riesce a elaborare descrizioni oggettive.
La conclusione?

La prima è che la diatriba tra misurazioni quantitative e qualitative è epistemologicamente infondata. Le misurazioni quantitative non sono possibili. Quelle qualitative sono una contraddizione in termini. Non ha senso parlare di una misura che non si esprima in numeri. Misurare è definire una applicazione che “collega” un fenomeno a un insieme di numeri reali. Se non si vuole parlare di numeri reali questa applicazione … non sa dove applicarsi.

La seconda è già stata già esplicitata esaurientemente da Gary Hammel: il vecchio management è tutto di tipo "Command & Control" (io dico che ha come riferimento la fisica classica).
E, egli sostiene, è del tutto evidente che è superato e da superare. 

mercoledì 17 aprile 2013

Non basta un approccio postmoderno …


di
Francesco Zanotti


Vogliamo dedicare qualche post per rispondere ad alcune riflessioni che qualche lettore ci ha inviato sul libro che sto scrivendo.
Il primo post è dedicato alle riflessioni di “Ale Donadio” che nascono da una visione del mondo specifica: la visione postmoderna.
Semplificando (anche troppo) si tratta di quella visione che si oppone all'oggettivismo (realismo) della visione classica del mondo. E propone il valore della soggettività. In particolare, evidenzia il fenomeno dell’ermeneutica. Ancora una volta in parole povere: le visioni che le persone si formano del mondo sono frutto di una interpretazione personale che impedisce di fare affermazioni di verità assolute. Uno dei punti più estremi di questa visione del mondo è la decostruzione, ricostruzione del mondo di Derrida.
In campo manageriale Ale la usa per descrivere l’impresa come sistema adattivo complesso e per fare proposte “liquide”: il surfing manageriale.
Ora la prima cosa da dire è che negli ultimi anni si è affacciata una controffensiva del realismo: guarda che esiste un mondo fuori di noi che è conoscibile oggettivamente.
Quindi siamo, filosoficamente, come sempre nel campo delle sette pertiche: due visioni che si contrappongono e si combattono.
Quale scegliere? La mia risposta nasce da una esigenza: le imprese devono aumentare e velocemente la loro capacità di produrre cassa: altrimenti chiudono e la querelle se il management deve affidarsi ad una visione classico realistica del mondo o ad una visione postmoderna si interrompe subito perché ogni contendente è costretto a starsene a casa sua.
Ora, la domanda che mi pongo è: per aumentare la capacità di produrre cassa intensamente e subito che contributo dà la proposta di governo del surfing? Riesco ad andare da una banca e dimostrargli che, se i suoi manager surfeggiano, riescono a valutare meglio le imprese, costruiscono nuovi sistemi di rating, riescono a dare un contributo progettuale alle piccole e medie imprese, riescono a mettere ordine nel guazzabuglio dei processi di ristrutturazione delle grandi imprese, troppo spesso mascherati attraverso emissioni obbligazionarie? Oppure ancora: riesco ad andare da una compagnia di assicurazione e dirgli che surfeggiando riesce a guidare questo paese a definire un modello di stato sociale che finalmente metta un punto fermo, condiviso e non autoritario, alla diatriba tra pubblico e privato? Oppure, ancora, riesco ad andare da una Utility e la convinco che, sempre se i suoi manager surfeggiano, riescono ad uscire da un’altra diatriba tra pubblico e privato, magari disegnandosi un ruolo di hub di sviluppo di una ecologia di piccole imprese che rivoluzionano il mercato della produzione e della distribuzione dell’energia?
Riconosco che l’ermeneutica è un fenomeno reale, che il surfeggiare è molto elegante e dolce, ma, per poterlo proporre come soluzione per governare la costruzione dello sviluppo prossimo venturo completa, è necessario che chi la propone riesca a colmare il gap con la strategia e con i flussi di cassa: altrimenti il top management delle imprese non mi/lo/ci sta a sentire. Oppure compra qualche corsetto di formazione dove magari ci divertiamo e ci pagano pure, ma certo non diamo un contributo intenso e immediato, come è necessario, alla costruzione di un nuovo sistema economico e di una nuova società.

Con questo voglio buttare a mare il pensiero postmoderno e sposare un pensiero realista? No! Voglio dire che è necessario aggiungere una nuova visione del mondo: quella quantistica. Usare in forma sinergica queste tre visioni e costruire una proposta di governo che le contenga tutte e tre.
Cosa sia la visione quantistica del mondo, come possa ispirare una nuova forma di governo che non butta nulla del pensiero postmoderno, ma lo considera solo necessario e non sufficiente, che si fa carico dei flussi di cassa e di far vedere come davvero si riescono a guidare banche, assicurazioni, utilities e tutti gli altri attori economici a gestire le issue vitali che le coinvolgono, rimando al testo complessivo del libro.

Ale troverà forse sorprendenti alcune conclusioni che cito solo perché nel libro ne parlo o ne parlerò nella seconda versione che è quasi pronta. Le conclusioni sono le seguenti.

Se, in questo momento storico, l’organizzazion  viene considerato come sistema adattivo, allora i flussi di cassa ce li scordiamo: rischia che sia costretta a surfeggiare sulle dune di un deserto (economico e sociale), invece che sulle onde di un oceano aperto.

Se la comunicazione è come la intendono Shannon e, in fondo, anche la pragmatica della comunicazione, allora quella non è la comunicazione che avviene all'interno e all'esterno di una organizzazione. Suggerisco di leggere Luhmann per approfondimenti.

La cultura organizzativa non so cosa sia. E, anche quando lo sapessi, non potrei osservarla.
La partecipazione è da prendere con le molle: prima di attivare partecipazione occorre prepararla agendo sui sistemi cognitivi delle persone. La nostra  “Sorgente Aperta” costituisce una proposta in tal senso.

Conclusione, metà postmoderna e metà quantistica. Il pensiero postmoderno ha contribuito alla fine della dittatura del pensiero unico, delle ideologie. Ma poi ci ha lasciato senza forza. Credo che sia il momento non di ricostruire nuove ideologie, ma di scrivere grandi storie collettive per poi realizzarle. Non saranno certo le uniche possibili, ma devono esistere perché non possiamo accettare di subire il futuro.
  

venerdì 12 aprile 2013

Capitolo 8: Sorgente Aperta, il Governo dello sviluppo autonomo delle organizzazioni

di
Luciano Martinoli

La proposta avanzata nel capitolo è, ovviamente, coerente con la descrizione del fenomeno che si vuole governare, l'organizzazione informale fin qui descritta. Lascio ovviamente i dettagli alla sua lettura ma mi preme, anche per incuriosire, anticipare alcune conclusioni, consequenziali al metodo proposto: prende senso concreto, finalmente, la "politica delle risorse umane" a tutti i livelli dell'organizzazione; la formazione classica diventa obsoleta.
Ultimo, ma non meno importante, appare chiara l'opportunità di una reale e feconda partecipazione al tema principale della esistenza stessa dell'azienda: la progettazione strategica.

Capitolo inviato a chi ne farà richiesta. 

giovedì 4 aprile 2013

Una pausa di riflessione


di
Francesco Zanotti


Dopo la pubblicazione dei primi sette capitoli che ho scritto e che abbiamo diffuso, propongo ai lettori di questo blog una riflessione complessiva.

Il primo messaggio che voglio dare è: il management è un’area di conoscenza umana come le altre. Questo significa che anche nel management sono possibili “cambiamenti di paradigma”. Che rivoluzionano sia la teoria che la prassi di gestione delle nostre imprese.
Ovviamente ogni cambiamento di paradigma deve partire dallo stato dell’arte complessivo delle conoscenze manageriali e compiere una vera e propria rivoluzione di esse.

Il libro che sto scrivendo si propone come cambiamento di paradigma.

I primi sette capitoli hanno presentato l’ineluttabilità di un cambiamento di paradigma. E credo che nel cuore di molti questa ineluttabilità sia già percepita, anche se non razionalizzata.
Ecco la sintesi dei contenuti dei primi sette capitoli.