"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

domenica 30 ottobre 2016

Ma ci sono veramente le star?

di
Francesco Zanotti
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Atleti, ma anche manager, presentatori, comici, politici … Ci sono veramente le star che bisogna iper pagare? O la voglia di star è solo un ulteriore episodio di conservazione?

Se le prestazioni sono “fisiche”, non c’è storia: le star ci sono! Usain Bolt vince da tre olimpiadi tutte le corse veloci. E spesso non c’è neanche battaglia. Superiorità conclamata. Punto e basta.
E se passate a prestazioni più soft .. è conclamato tutto più il contrario quanto più le prestazioni sono soft.
Non è per nulla conclamato per i grandi manager. Per costoro addirittura accade il contrario. Si vanno a cercare quelli che hanno le prestazioni peggiori. Peggiori in che senso? Perché bloccano le imprese nella conservazione. I manager delle banche ne sono l’esempio tipico: idee zero.
Nulla è conclamato per i politici. Lontani sia dalla realtà che dalla conoscenza. Chiusi nelle loro eterne baruffe chiozzotte, insensibili sia alla realtà che alla conoscenza. Peggio che conservazione: costruzioni di ragionamenti e mondi insensati che vengono buttati proditoriamente sulla società, bloccando ogni serio discorso di futuro.
Per pietà di patria non parliamo di presentatori e comici. E’ ridicolo strapagare personaggi come … va beh non facciamo nomi che nulla sono se non macchiette da spettacoli di oratorio.
Invece … occorrono Giovani e Maestri. Ambedue con l’iniziale maiuscola per un ruolo maiuscolo nella costruzione del futuro. I Giovani propongono innovazioni, i Maestri le coordinano in grandi disegni complessivi. Ogni età ha bisogno esistenzialmente delle altre. Così ogni uomo non cerca di essere star (superiore agli altri), ma fratello agli altri nel costruire la storia.

E presentatori e comici? Credo che di veri artisti ce ne siano pochi. E per costoro la vera gratificazione sarebbe quella di sentirsi chiamare e riuscire ad operare come Maestri.

sabato 29 ottobre 2016

Cari Consiglieri di Amministrazione … … chiedete a dipendenti e stakeholder

di
Francesco Zanotti
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Non esiste una misura del talento manageriale. Esistono, però testimoni.

Solo le cose “hard” che si possono misurare. Il diametro di un pistone ad esempio.
Le cose soft, invece, non si possono misurare. Chiunque conosca e pratichi un pelo le scienze sperimentali ve lo può confermare. E la ragione è che la misura delle cose soft sono solo contestuali: hanno senso in uno specifico contesto. Ma voi non potete conoscere il contesto in cui si sono espressi i manager. Neanche il contesto organizzativo della vostra impresa.
Quindi, cari Consiglieri di Amministrazione, pedete tempo e vi fate fuorviare se chiedete a qualcuno di fare un assessment al management o di scegliere tra candidati al ruolo di CEO. A maggior ragione, costoro non conoscono i contesti.
Allora chiedete una opinione ai contesti stessi: dipendenti e  stakeholder sui manager attuali o da assumere.
Di più: stabilite che la decisione se concedere o meno i famosi bonus sia demandata ai contesti: dipendenti e stakeholder …


mercoledì 26 ottobre 2016

Le cose che non esistono, ma vanno costruite


di
Francesco Zanotti

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E' inutile che cerchiate cose come talenti, competenze, clima, valori: non esistono! Ve li dovete costruire.

Lee Smolin, uno dei più autorevoli fisici esistenti, sostiene che la descrizione più vera di qualcosa si ottiene specificando le sue relazioni con le altre cose che gli stanno intorno (Pag. XII della Prefazione nella traduzione italiana di “Time Reborn” a cura di Einaudi).
Cioè: le cose cambiano identità a seconda di dove le mettete. Se questo vale per le cose della fisica (Smolin sostiene, e io nel mio piccolo concordo, che anche le leggi della fisica sono contingenti) a maggior ragione vale per gli esseri umani.
Gli esseri umani sono bravi o cattivi, hanno o non hanno certe competenze, esprimono certi valori e non altri a seconda delle contingenze organizzative (quindi: antropologiche) in cui sono immersi. In contingenze diverse potrebbero manifestare tutto il contrario. L’occasione fa l’uomo ladro, dice un proverbio. L’occasione costituisce l’essere umano, dice la scienza.


Allora il compito del manager non è scegliere talenti e competenze o proclamare valori. E’ creare talenti, competenze e valori negli uomini di cui dispone nell’organizzazione in cui si trova a vivere. Detto diversamente non chieda talenti, competenze e valori, li crei … Se lo sa fare, altrimenti impari a farlo.

lunedì 24 ottobre 2016

La successione manageriale “emergente”

di
Francesco Zanotti

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Un top manager non è un pistone. Una impresa non è un cilindro. Non è possibile paragonare la scelta del CEO alla scelta del pistone più adatto ad un particolare cilindro …

Oggi su Corriere Economia si parla di successione manageriale. Ovviamente si intende la successione di top manager che se vanno di loro “sponte”.
Ma le proposte sono sempre “statiche”, cioè antiscientifiche. Si pensa che il top manager sia un pistone. Cioè abbia caratteristiche ben individuabili che permettono di dire se questo top manager è adatto a o meno ad una certa impresa. E, parallelamente, si pensa che l’impresa sia un cilindro che può essere “misurato” per capire quale sia il pistone più adatto. Ovviamente questo cilindro non cambia nel tempo …
Invece, di un essere umano (tutta la conoscenza scientifica concorre a sostenere questa tesi) non è possibile individuare caratteristiche rilevanti che permettano di capire se è adatto o meno ad una impresa. E per le stesse ragioni (la conoscenza scientifica attuale) non è possibile misurare alcunchè dell’impresa che serva a selezionare un top manager. In più l’impresa cambia e cambierà sempre di più …
Che fare allora? Come scegliere un top manager? La risposta è semplice: senza sceglierlo.
Ogni impresa deve essere impegnata in una ridefinizione continua della sua identità strategica. A questo processo devono partecipare tutti gli stakeholder. Il top management emerge da questo processo. La sua successione diventa uno spontaneo passaggio di testimone.
Fuori da questa logica si sceglierà un top management “artificiale” che, forse, metterà d’accordo il CDA, ma scatenerà la resistenza degli stakeholder.


mercoledì 19 ottobre 2016

Investire sulle persone aumenta le prestazioni aziendali

di
Luciano Martinoli


Il gigante della distribuzione americano Walmart ha deciso di affrontare il problema delle prestazioni alla radice e lo ha risolto nel più "irrituale" dei modi, secondo la borsa e gli economisti: aumentando gli stipendi.

Se i lavoratori sono pagati di più, gli viene offerta migliore formazione e possibilità di carriera, l'azienda diventa più profittevole o meno? 
E' la scommessa che ha fatto, e almeno fino a questo momento vinta, il gigante della distribuzione Walmart, come riporta un articolo del New York Times.
Una mossa tanto azzardata, secondo i canoni classici della gestione aziendale, quanto banale. Ma sopratutto la riscoperta che il principale asset aziendale, quello più reattivo agli "investimenti", continuano ad essere quelle persone che oggi invece sono il primo target per le ristrutturazioni, licenziamenti, pre-pensionamenti. 
Una bella lezione che viene proprio da uno dei colossi che aveva fatto della "spremitura" costi, sopratutto a spese dei dipendenti, la sua principale strategia e i cui risultati alla lunga erano stati deludenti.
Una indicazione di una direzione che tante aziende nostrane (penso alle banche) dovrebbero considerare senza ideologie, sulla base di piani non preconfezionati e liberi da condizionamenti esterni (analisti, borsa, finanza, ecc.).
Se l'ha fatto Walmart (485 miliardi di dollari di fatturato nel 2015, opera in 50 paesi, impiega 2,2 milioni di persone in 11.562 negozi, quotata alla borsa di New York) perchè non lo possono fare altri?


domenica 16 ottobre 2016

Trapianto di testa, AI, i limiti del digitale e l’organizzazione

di
Francesco Zanotti

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Non si discute mai dei limiti del pensiero e della tecnologia digitale e del rischio di non considerarli. Propongo due esempi.

Il primo esempio.
Oggi sulla “Domenica” del Sole 24 ORE vi è un articolo di Gilberto Corbellini e Fiorenzo Conti che parla della necessità di migliorare (eufemismo, perché oggi è quasi un disastro) la qualità della divulgazione scientifica proponendo un esempio di cattiva divulgazione intorno ad un tema drammatico. Gli Autori raccontano il caso di un chirurgo che sostiene di essere pronto al trapianto di teste. E dimostrano come la cosa sia insensata. Ora, la pretesa che sia possibile farlo è proprio frutto della assolutizzazione del pensiero digitale per cui tutto quello che esiste (l’uomo compreso) è solo e soltanto fatto di parti che hanno funzioni specifiche. E’ un assemblaggio di parti che mantengono una loro identità indipendentemente da dove vengono messe.
Se così fosse, sarebbe complicatissimo, ma pensabile il trapianto di teste: basterebbe fare bene i collegamenti neuronali e poi il cervello riprende il controllo del corpo. “Purtroppo” il cervello non è un motore che funziona su qualsiasi macchina. Cervello e corpo costituiscono una complessità non digitalizzabile: non si possono individuare parti con funzioni che non dipendono dalle altre parti. Quindi, se anche qualcuno riuscisse miracolosamente (ma non è possibile) a far vivere un cervello con un altro corpo, non si saprebbe che tipo di individuo ne nascerebbe. Non certo sarebbe l’individuo il cui cervello vive prima in un altro corpo.
Generalizziamo alle organizzazioni: anche l’impiantare un top manager (il cervello) in un'altra organizzazione (il corpo) è difficilissimo e non si sa che risultati può generare.

Il secondo esempio: l’Artificial Intelligence.
Non sto a ri-elencare tutte le ragioni per cui un computer digitale non potrà mai avere le prestazioni di un cervello (impiantato in un corpo), cito solo le limitazione che gli esperti di deep learning dichiarano. Sempre dalla Domenica del Sole 24 ORE di oggi Raia Hadsell, ricercatrice di deep learning, dichiara che oggi siamo in grado (in un certa misura) di insegnare ad un computer solo a fare una operazione complessa alla volta. Ad esempio: o impara a giocare a scacchi o a riconoscere persone.

Mettiamo insieme. Dei processi di apprendimento umano non sappiamo neanche darne una descrizione. Quindi non sappiamo cosa vuol dire insegnare ad un essere umano. Quando parliamo di apprendimento profondo (deep learning) ci riferiamo a processi che sanno dare alcune capacità al computer, ma non hanno nulla a che vedere con le capacità del cervello umano.
E’ probabile che l’apprendimento sia una profonda ristrutturazione del cervello  a seguito di input esterni.
Allora, se un trapianto di teste riuscisse biologicamente si scatenerebbe un processo di ristrutturazione profonda del sistema “vecchio cervello” su di un nuovo corpo che non si saprebbe dove porta
Quando si introduce un top manager in una organizzazione si attiva un processo di ristrutturazione profonda che non si sa dove porta.


giovedì 13 ottobre 2016

La delega che porta ad una non voluta autogestione

di
Francesco Zanotti

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Il delegare è il modo migliore per non fare quello che è importante, ma "faticoso”. Così, però, significa deresponsabilizzarsi. E nelle imprese, soprattutto le più grandi, si arriva ad una sostanziale autogestione strategico-organizzativa che a parole è aborrita come la peste.

Contrariamente a quello che si pensa, i top manager delegano troppo. Forse non nella forma, ma, certamente, nella sostanza.
Non si occupano di persone e di organizzazione. Se non con qualche proclama o con il buttar fuori le persone, anche se non sanno, alla fine quanto costa, non solo strategicamente (le conoscenze e le relazioni di cui si provano), l’operazione. Poi tocca al management operativo gestire organizzazione e persone. E anche il management di secondo livello cercherà di delegare. Così scendendo di delega il delega, si arriva ad una sorta di sostanziale autogestione da parte dei diversi gruppi organizzativi.
Ma non si occupano neanche di strategia, questa volta né formale né sostanziale.
La strategia sostanziale è fatta dai comportamenti delle persone. Ma, poiché di persone non si occupano, sono le persone che scelgono liberamente i comportamenti che vanno a fare emergere la strategia sostanziale delle imprese.
Non si occupano neppure di progettualità strategica. Cioè non si occupano di quel processo di costruzione del Business Plan che costituisce il risultato della progettualità strategica.
In sintesi il delegare finisce nella sostanziale e assolutamente non voluta  autogestione dell’impresa.


domenica 9 ottobre 2016

Ricerca tecnologica e il mito degli incentivi

di
Francesco Zanotti

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Continuiamo ad inseguire idee sbagliate. Se poi i risultati non arrivano non reclamiamo: ce la siamo cercata.

Un post dove cito le opinione del Prof. Joel Mokyr riportate in un suo articolo sul Sole 24 ORE. Esse distruggono le basi delle attuali politiche economiche.
Prima le opinioni e poi vi dico chi è il Prof. Mokyr a beneficio per chi avesse bisogno di essere tranquillizzato sulla autorevolezza della fonte perché non sa valutare da solo l’autorevolezza delle idee.
Due opinioni fondamentalmente.
“In realtà sappiamo ben poco del tipo di istituzioni che favoriscono e stimolano il progresso tecnologico e più in generale l’innovazione intellettuale.”
Ma, allora, che senso ha delegare alle riforme istituzionali tante speranze, visto che il progresso, tecnologico che viene dichiarato come via regia alla crescita, non c’entra nulla con le riforme?

“Il punto oscuro sono le motivazioni e gli incentivi”. Intende dire che non si sa quali incentivi favoriscano il progresso tecnologico.
Ed allora perché aggiungiamo al mito delle riforme il mito degli incentivi economici?

Ma anche una terza. Sintetizzo io: non si può sviluppare conoscenza tecnologica senza l’interazione con qualche forma di scienza formale o informale. Domanda: ma qual è il progetto di sviluppo delle scienze fondamentali che intendiamo attuare? Se non ne abbiamo scordiamoci l’innovazione tecnologica.

Ed ora qualche nota biografica sul Prof Morky. Egli dovrebbe essere già noto in Italia perché  ha ricevuto nel 2015 il premio Balzan (assegnato dalla Fondazione italo-svizzera Premio Balzan). Che diamo premi e nessuno sa perché? Ad ogni modo è anche professore alla Northwestern University che non è proprio una Università di seconda categoria.




giovedì 6 ottobre 2016

Un grande banchiere, una piccola banca, un dialogo tra sordi, una comunità che si spegne.

di
Francesco Zanotti

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Una competenza tecnica ed un io grande come l’infinito: un mix devastante per persone e comunità.

E’ una storia di pura fantasia ... forse.
Arriva il grande manager, appena nominato, in una delle banche che oggi vengono salvate. Duro discorso manageriale, il cui senso è semplice: ci dobbiamo impegnare, altrimenti tutti a casa. Un invito forte all’impegno ed alla serietà. Con il metamessaggio: siete in crisi perché non siete stati seri e non vi siete impegnati.
Che effetto farà questo forte e chiaro richiamo?
Beh pensate a come è fatta una banca (una organizzazione, in genere). E’ fatta, innanzitutto, di persone che hanno sistemi di risorse cognitive di cui il grande manager non sa nulla. E’ questo sistema di risorse cognitive che le guida a capire ed agire. Ma il grande manager non ne sa nulla. E’ fatta di un sottile reticolo di relazioni personali, di rapporti di potere e di conoscenze informali, di riti ed abitudini … ma il grande manager non ne sa nulla. E nel suo messaggio non ne parla.
Pensate poi alla comunità di riferimento della banca. Certo una economia che è stata assistita dalla banca. Anche se dal punto di vista contabile è in crisi, ha costruito un sistema di produzioni, di servizi, di conoscenze di competenze che nella contabilità non compaiono, ma si chiamano vita. Questa vita dovrebbe essere rivitalizzata. E anche di tutto questo il grande manager non sa nulla. E la comunità viene dichiarata credito non esigibile.
Risultato?  Giovanni esce dalla riunione con la morte nel cuore e passando per le vie della città dove risiede la banca vede negozi chiudere ed appena arriva alla periferia, vede capannoni deserti.

 Domani lo stesso manager andrà a fare lo stesso altro discorso ad altre banche salvande, ad altre comunità …