"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

lunedì 29 settembre 2014

Delegare la strategia

di
Francesco Zanotti


Che cosa delega, in realtà, un CEO? Soprattutto il CEO di una grande organizzazione?
Sostanzialmente quello che non gli interessa: il far funzionare l’organizzazione, la gestione delle risorse umane e la gestione degli stakeholder. Delega quello che ritiene strumentale, cioè non vitale. Ovviamente non ammetterà mai che la gestione di queste cose non gli interessa. Ma se guardate la sua agenda scoprirete che è così. Lo scoprirete soprattutto se guardate quali sono le sue fonti informative e di aggiornamento.
Ovviamente l’organizzazione si accorge di questo delegare per disinteresse. E lo imita: ognuno cerca di delegare quello che, gerarchicamente, sta sotto di lui per riservarsi il tempo per stare in contatto con chi sta sopra di lui.
Ora, le “cose” delegate sono quelle che generano la strategia di fatto dell’organizzazione: le persone, l’organizzazione, gli stakeholder.

Quindi un CEO non se accorge, ma delega la strategia. Non lo vorrebbe mai, ma nei fatti è così.

venerdì 26 settembre 2014

Lavoratore progettuale ... di fatto

di
Francesco Zanotti


Ma cosa fa un lavoratore in una organizzazione? Diamine: fa quello che gli viene detto. E se non lo fa viene redarguito. Bene, allora prendiamo un lavoratore ligissimo a tutti gli ordini.
Gli ordini che riceve non sono un programma completo. Impongono solo alcuni comportamenti, ma poi il lavoratore deve scegliere liberamente una serie impressionante di altri comportamenti che coprano i buchi che i comportamenti prescritti lasciano.
Usando (essendo costretto ad usare) questa libertà, egli costruisce quella che si definisce l’organizzazione informale: il suo sistema cognitivo, le sue relazioni, la cultura del suo gruppo. Costruisce tutti i giorni cose essenziali che condizionano i suoi comportamenti e, quindi, i risultati dell’impresa.
Questa organizzazione informale è sconosciuta ed inconoscibile dal management. Quindi non viene gestita.
Lavoratore progettuale significa che, nei fatti, i lavoratori progettano, attuano e cambiano tutti i giorni, anche se inconsciamente, la vera organizzazione dell’impresa.
Una progettualità reale, ma istintuale.
Quale è l’efficacia e l’efficienza di questa organizzazione informale? Bassissima.
E’ il fatto che la qualità dell’organizzazione informale è bassa che genera insicurezza, malessere bassa efficacia, bassa efficacia, discriminazioni.
Allora occorre prendere atto che sono le persone che costruiscono e cambiano tutti i giorni l’organizzazione e fare in modo che questo processo sia fecondo e non conflittuale.
Il manager non deve decidere nulla, deve governare processi di emergenza dell’organizzazione informale. Poi potete buttare tutto l’armamentario di corsi, corsetti, corsettini e progetti che interferiscono in modi non conoscibili con l’organizzazione informale. Poi potere rivedere la logica stessa dell’assumere e del licenziare.
Ovviamente se veramente interessano cose come l’efficacia, l’efficienza, il benessere, la sicurezza, la qualità, la non discriminazione.


lunedì 22 settembre 2014

Aggressioni commerciali

di
Francesco Zanotti


Provo a mettermi nei panni di un top manager che voglia comprare conoscenze, metodologie e servizi che lo aiutino ad aumentare l’efficienza e l’efficacia della sua organizzazione. Si trova di fronte ad una diluvio di proposte “spezzettate” veramente insostenibile. Vere e proprie aggressioni commerciali.

E’ invitato ad attivare progetti che riguardano singole issue organizzative: la qualità, l’efficienza, la sicurezza, il benessere, l’etica, i rischi. Ognuno gli dice che l’issue di cui è esperto è decisiva. Ed anche il manager riconosce che lo sono

E’ invitato ad attivare corsi di formazione che riguardano le più diverse issue a livello personale: insegnare a gestire le emozioni, diffondere competenze manageriali (che possono anche essere moltissime), curare lo sviluppo di sistemi di valori condivisi, generare fiducia.

E’ invitato ad usare le tecniche manageriali più disparate. Dalle 5S allo storytelling, al teatro, ai diversi management “puntati” (il management 2.0, poi 3.0 … etc.)

Intendiamoci, tutte queste proposte hanno una parte di senso, ma nessuna è una risposta complessiva. E non sono integrabili. Anzi, spesso nascono da visioni del mondo, non esplicitate, ma incompatibili.

E, anche se fossero integrabili in teoria, non lo sarebbero in pratica. Mica si può fare tutto insieme. Mica si può smettere di perseguire i risultati aziendali (occorre produrre, erogare servizi, vendere acquistare), per occuparsi di issue pur importanti.

Anche perché il legame tra il perseguimento di queste issue e i risultati aziendali è certamente sbandierato, ma non casualmente esplicitato. Ognuno di questi progetti ha obiettivi auto riferiti: l’issue che vogliono perseguire è il loro obiettivo. I diversi progetti, corsi non hanno obiettivi complessivi aziendali. Gli obiettivi aziendali, dicono gli specialisti che li propongono, seguiranno inevitabilmente, ma non sanno dire come, quando a che costi complessivi.

Il risultato di questa situazione non serve a nessuno.
I manager sono costretti a scegliere le cose di cui occuparsi in base ai guai. Si cerca di sistemare l’issue che in quel particolare momento è più critica. Ovviamente le issue trascurate non mancheranno di diventare critiche anche loro. Ed allora la vita aziendale è un rincorrere di urgenze crescenti.
Le tecniche manageriali vengono allocate sempre di più nella categoria “nice to have”. Cose da tempi di vacche grasse.

I consulenti vengono, per forza di cose, allocati nella categoria “disturbatori”. E’ così, come si dice, si butta il bambino (le proposte veramente decisive) con l’acqua sporca di mille proposte ingestibili.


Vogliamo provare a cambiare questa situazione?

venerdì 19 settembre 2014

Dalla ruota quadra alle marionette

di
Francesco Zanotti


Per guidare un’automobile non è strettamente necessario conoscere i principi scientifici sui cui si basa il funzionamento del motore a scoppio. Non è necessario conoscere meccanica, elettrotecnica ed elettronica.
Basta avere un chiaro ed esaustivo libretto di istruzioni. Poi l’esperienza farà il buon guidatore. Poi il talento farà il campione.
Osservo però, con un inciso la cui importanza sarà chiara più avanti, che non accade mai che un campione non conosca come funziona il motore a scoppio, ma riconosco che in teoria potrebbe bastare il “trio”: libretto di istruzioni, esperienza e talento.

Questo ragionamento vale anche per un manager? Sì, perché anche per il manager esiste un libretto di istruzioni chiaro ed esaustivo: sono le conoscenze e le competenze manageriali che nutrono mille corsi di formazione. Apprendendole ed aggiungendo esperienza e talento si diventa manager-campioni.
Non esiste neanche bisogno di aggiornarsi perché queste conoscenze e competenze sono immutate da decenni. Il libretto di istruzioni è sempre lo stesso. E’ vero che ogni tanto appaiono proposte “innovative”, ma sono roba un po’ strana che serve a far contenti gli utenti dei corsi di formazione. Queste “innovazioni” non vengono considerate degne di essere apprese dai top manager.
A loro basta quel vecchio ed eterno libretto di istruzioni, arricchito da esperienza e talento. O, forse, vogliono farselo bastare perché permette di esaltare la propria esperienza e il proprio talento che diventano le uniche variabili distintive?

Dubbio/domanda pertinente perché a gettare forti dubbi sulla efficacia del trittico “libretto di istruzioni + esperienza + talento” vi sono alcuni fatti incontrovertibili. Il primo è costituito dai risultati. Il secondo dalle conoscenze non considerate che rivelano che il libretto di istruzioni del manager è sbagliato.

Risultati: visto lo stato dell’economia, i risultati aziendali che si riescono a raggiungere, il livello di conflittualità, resistenze al cambiamento, stress all'interno delle organizzazioni, crescita esponenziale di guai di ogni tipo che stanno trasformando il manager in pompieri, la continua espulsione di manager dalle organizzazioni non è che si possa essere fieri dei risultati.

Conoscenze non considerate dai costruttori dei libretti di istruzione manageriali. Questo è il tema decisivo perché rivela che il libretto di istruzione che si cerca di distribuire è sbagliato. Come insegnare a qualcuno ad aggiustare il televisore con il martello pensando che il televisore sia il teatrino delle marionette.

Più concretamente, le martellate distruttrici sono: il delegare, la filosofia del cambiamento, il credere nei valori, il cercare di analizzare uomini ed organizzazioni, il proliferare di mille progetti, i corsi di formazione, la gestione per obiettivi.

Chi dice che sono martellate distruttrici? Un primo indizio è il fatto che, poi alla fine i manager fanno di testa loro, quasi costruendosi un loro “libretto di istruzioni” personale, anche se non formalizzato perché intuiscono che il libretto delle istruzioni manageriali è troppo banale.

Sono però, soprattutto, le scienze naturali ed umane (dalla fisica alle scienze cognitive, alle psicologie, alla sociologia all'antropologia) che rivelano che il libretto di istruzioni manageriali è radicalmente sbagliato. Davvero serve ad aggiustare marionette e non sfavillanti propositori di immagini e storie.

Allora cosa può fare un manager?
Non può certo provare ad impadronirsi di tutte le scienze naturali ed umane. Visto il crescere delle urgenze. Ma non può neanche continuare a menare martellate ad un televisore pensando che sia il teatrino delle marionette … significa anche tirarsi la zappa sui piedi …
Cosa può fare un manager?


mercoledì 17 settembre 2014

L’amore per la ruota quadra: di chi è la colpa?

di
Francesco Zanotti



 “Caro manager, abbiamo scoperto (come in ogni area di conoscenza, anche nel management ci sono le scoperte), che la filosofia gestionale che usi è scientificamente errata. Fai così fatica a raggiungere i risultati che ti chiedono proprio per questo. Ti propongo, allora, una nuova filosofia gestionale, scientificamente più solida, che ti permetterà di raggiungere in tempi brevi a costi inferiori i risultati che oggi non ottieni in tempi lunghi e con costi elevati.”.
“Ah sì? Molto bello, ma ora non ho tempo: il mio CEO vuole i risultati e subito. Non ho tempo per pensare ad altro.”
“Ma proprio dei risultati di parlo. Se continui così ti tiri la zappa sui piedi. Non raggiungerai i risultati che ti chiedono.”.
“Si, forse, hai ragione, ma ora non ho tempo. Quando avrò raggiunto i risultati che mi chiedono allora ne parleremo” … L’amore per la ruota quadrata …


Ma forse non è colpa del manager: caro consulente hai mai fatto una verifica scientifica delle tue proposte? No? Allora la colpa non è del manager, ma la tua. Forse sei tu che proponi idee, processi, modelli che sono scientificamente traballanti …

lunedì 15 settembre 2014

Non siete speciali!

di
Francesco Zanotti


Come ricorda l’inserto culturale del Corriere di Domenica il titolo è l’incipit di un famoso discorso fatto dal professore di Inglese David McCullogh ai diplomati del suo liceo di Boston.
E, poi, continuava il discorso … ecco ne faccio la parafrasi in chiave manageriale: cari manager vi hanno viziati, coccolati, idolatrati. Diversamente da quanto qualche risultato passato possa suggerire (risultati sempre meno rilevanti), non siete speciali. Su sette miliardi di persone vi saranno miriadi di bravi come voi.
Aggiungo, anche che chi lavora per voi è bravo come voi. Se voi vi dichiarate più bravi, allora vi assumete la responsabilità di valorizzare i diversi talenti di tutti.
Se giudicate qualcuno senza talento, allora siete voi senza talento. Senza il meta talento di riuscire a fare esplodere e valorizzare quello che hanno tutti …
Credo che sia veramente l’ora di smetterla con il mito dei talenti che non ha nessun supporto scientifico. Anzi …
Ah dimenticavo … la seconda puntata sulla diversità a tra poco …


giovedì 11 settembre 2014

Rispettare la diversità? E quale?

di
Francesco Zanotti
Oggi il dibattito sulla diversità rischia di essere formale e non sostanziale. Questo comporta che il rispetto della diversità sembri un valore da proteggere formalmente e con fatica: con le regole o con la sensibilizzazione. In questo modo però alle imprese (ai capi che le guidano) sembra, anche questo come molti altri anche se non è politicamente corretto ammetterlo, sempre più un ulteriore vincolo costoso.

Se invece che della forma si inizia a dibattere sulla sostanza delle diversità, si scopre che alle imprese conviene e di molto, non solo proteggere, ma stimolare e valorizzare la diversità. E’ l’investimento a più alto ritorno.

Facciamo degli esempi.
Partiamo dalle diversità conosciute. Esse sono sostanzialmente: diversità di genere, di provenienza geografica, di religione e di età.
Consideriamo la più difficile da “combattere”: la diversità di generazione (di età). Oggi forse non è considerata neanche una diversità da proteggere. Anzi. Chi non sta cercando di praticare la politica: largo ai giovani?
Bene per andare nel profondo (quindi nella sostanza) di questa diversità basterebbe pensare che il processo di sviluppo del cervello di una persona fa si che le prestazioni cognitive di un anziano non siano inferiori a quelle di un giovane. Ma solo diverse e complementari. I giovani riescono a concentrarsi maggiormente sui dettagli, mentre le persone mature riescono molto meglio a “pensare in grande”: a fare collegamenti tra idee, a condensarle in disegni complessivi. Cosa conviene all'impresa? Conviene disporre di un mix generazionale il più articolato possibile per disporre di modalità di pensiero le più ricche possibili. La politica del “largo ai giovani” priva le imprese di capacità di sviluppare visioni, progetti strategia complessive. Come politiche gerontocratiche privano le imprese di sguardi sulle trasgressioni tecnologiche, metodologiche, sociali etc.

Ma parliamo anche delle diversità, quindi, delle discriminazioni sconosciute, ma diffusissime, profonde e devastanti che impattano ogni giorni su efficacia, efficienza, qualità, compliance e benessere. Continuo con la strategia della esemplificazione.
Lo sguardo è alla base dell’organizzazione. All'interno: dove si produce. All'esterno: dove si vende. Lo sguardo è ai pensieri ed ai  comportamenti di coloro che vendono e producono. Che costruiscono o non costruiscono efficacia, efficienza, qualità compliance e benessere.

Prendiamo un gruppo di lavoro. In un gruppo di lavoro si sviluppano molte dinamiche tra le quali vi è anche la creazione di un capro espiatorio. In molti gruppi svolge la funzione essenziale di parafulmine di tutto quello che non funziona. Peggio: diventa il riferimento fondamentale per i pensieri e l’azione delle persone del gruppo. Uno degli obiettivi che il gruppo cerca di raggiungere, per raggiungere il quale investe energie temporali, cognitive ed emotive è quello di dimostrare che Giovanni (chiamiamo così il capro espiatorio) ha veramente la colpa di tutto quello che accade. Se non si fa questo il mito del capro espiatorio non regge. Perché regga è necessario dimostrare ogni giorno, in ogni occasione quanto Giovanni sia imbranato o incompetente o lavativo. Giovanni allora avrà come chiodo fisso quello di difendersi, di dimostrare il contrario.

Il generare un capro espiatorio è un atto di discriminazione profonda che non appare, che non si può interdire con norme o con “prediche” (non è bello, non è giusto discriminare Giovanni), che la dirigenza dell’impresa non vede e non può vedere, ma che costa moltissimo perché distoglie energie crescenti ad attenzione, efficacia, efficienza, qualità, compliance e benessere. E’ un atto di discriminazione profonda che mina alla radice la capacità dell’impresa di generare valore.   

Ma come promuovere e valorizzare la sostanza delle diversità? In tempi brevi e con costi irrisori, in modo che si traduca immediatamente in un booster di sviluppo?
La nostra risposta alla prossima puntata.


martedì 9 settembre 2014

La Ferrari, le liti e Giovanni

di
Francesco Zanotti


Oggi tutti a parlare della lite tra Marchionne e Montezemolo. Nella quale si inserisce con piacere Della Valle. L’unica voce che non descrive solo il tintinnare delle spade dei duellanti è Dario di Vico sul Corriere che si lamenta della litigiosità della nostra classe dirigente.
Al là della “vista” delle liti (un po’ da fotoromanzo) vi è la “vista” finanziaria. Conclude il suo pezzo Laura Galvagni sul Sole 24 Ore: “D’altra parte con una Ferrari americana, la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra rispetto al passato è davvero iniziato un nuovo corso” …
Alle 7 suona la sveglia per Giovanni, operaio Ferrari. Egli non legge i giornali, ma vive tutti i giorni l’organizzazione. Quali sono i problemi che oggi affronterà? Riguardano le relazioni con i colleghi o con il Capo? Riguardano qualche problema tecnico che non riesce a risolvere? Riguardano alcune sue idee che, proprio, non vengono ascoltate? Riguardano il fatto che non parla il dialetto di Modena e non ama i tortellini? Riguardano il fatto che ha problemi a relazionarsi con i più giovani colleghi?
Il nuovo corso in che modo impatta su Giovanni e l’organizzazione nella quale vive? Il nuovo corso porterà nuove metodologie gestionali? Saranno finalmente utili a districare quella complessa matassa di psicologica, sociologica ed antropologica che è l’organizzazione informale e che oggi nessuno gestisce?

Nessuno ne parla, ma è Giovanni che costruisce le Ferrari, sia quelle che corrono sulle strade che quelle che corrono sulle piste. Sarebbe meglio che qualcuno ne tenesse conto. Anche tra i giornalisti.

venerdì 5 settembre 2014

Valutare i consulenti

di
Francesco Zanotti


E’ una proposta, una piattaforma per le imprese che vogliano valutare (dal punto di vista della qualità professionale, ovviamente) i consulenti.
Quindi, è anche piattaforma per costruire la professione del consulente del futuro. Un consulente italiano che voglia confrontarsi ed innovare rispetto alla consulenza internazionale.
Una piattaforma descritta, ovviamente, nelle sue linee generali.
Care imprese, innanzitutto, accertatevi se i consulenti conoscono lo stato dell’arte delle conoscenze strategico-organizzative a livello internazionale. Come? Chiedete loro di fare, presso di voi, un seminario, a titolo ovviamente gratuito, dove espongano quello che conoscono dello stato dell’arte delle conoscenze strategico organizzative. Oppure chiedetegli una qualche loro pubblicazione dove abbiano decritto queste conoscenze. Credo che sia una richiesta inevitabile: non potete mica affidarvi ad un consulente non aggiornato.
Questa è una verifica assolutamente necessaria. Ma non basta. Come tutti sanno, le conoscenze strategiche esistenti sono importanti, ma sono ancora troppo primitive. Allora chiedete ai consulenti quale percorso di ricerca hanno intrapreso, stanno intraprendendo, per superare lo stato dell’arte attuale delle conoscenze strategico organizzative. In particolare chiedete l’entità degli investimenti che hanno affrontato e stanno affrontando. Soprattutto chiedete quali aree di conoscenza stanno esplorando per migliorare le conoscenze strategico organizzative esistenti.
E’ difficile che i consulenti possano generare un breakthrough (che è assolutamente essenziale) senza andare a interpellare le conoscenze di base che servono a capire quell'insieme di uomini e tecnologie, significate da un progetto che si chiama impresa.
Quali conoscenze di base? Beh, le nuove visioni del mondo proposte dalle scienze naturali perché oggi tutto il management è appiattito sulla visione del mondo della fisica classica. E, poi, i risultati più significativi delle scienze umane. Che senso ha dichiarare che si dispone di modalità innovative di gestione di uomini e gruppi di uomini senza conoscere le scienze cognitive, i diversi approcci alla psicologia, alla psico-sociologia, alla sociologia e all'antropologia? Non ne ha, anche perché se non si conoscono i contributi esistenti si finisce per costruire proprie scienze cognitive, psicologie, sociologie, antropologie che sono ovviamente più povere di quelle disponibili.
E l’esperienza? Beh state certi che se trovate un consulente che sta ha superato i filtri esistenti disporrà di un bagaglio di esperienze di prim'ordine in quasi ogni settore industriale.


lunedì 1 settembre 2014

Non analizzate, non chiedete, ma fatevi raccontare

di
Francesco Zanotti


Non è possibile analizzare una organizzazione. Banalmente perchè non esiste un modello che dica di che parti è costituita. Si cerca, allora, di analizzare (misurare) singole caratteristiche, ma anche questo non funziona per così tante ragioni che ci vorrebbe un libro per raccontarle tutte.
Se cercate, ad esempio, di analizzare una cosa come il clima, vi trovate a non sapere esattamente cosa sia, a non avere strumenti e processi di misura per farlo e a non sapere, quando ne avete una qualunque descrizione (vostra personale, del tutto soggettiva), che influenza ha questo clima sui comportamenti delle organizzazioni.
Che fare allora? Rinunciare a conoscere l’organizzazione che dirigete? No! 
Esiste una alternativa: fatevelo raccontare dalla gente che lavora per voi. Voi limitatevi a dare loro il linguaggio attraverso il quale farvela raccontare. Potete anche farvi raccontare i loro progetti, i comportamenti che hanno intenzione di mettere in atto ...
Il farvi raccontare con il linguaggio che proponete voi è una forma eccellente di governo. Ovviamente tocca a voi fornire alla vostra gente il linguaggio più potente, più espressivo. Per curiosità: qual è il linguaggio (o i linguaggi) che oggi usa la vostra organizzazione? Quale linguaggio/linguaggi vi piacerebbe venissero usati?