"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

sabato 28 dicembre 2013

Quanti progetti può sopportare una organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Certamente la qualità è importante. Ed allora forza un bel progetto sulla qualità. Ma è la sicurezza non lo è? Ah certo. Ed allora anche un progetto sulla sicurezza. Poi occorre un progetto per la riduzione dei costi e bisogna fare quelle modifiche indispensabili al sistema informativo. Beh, ma è anche necessario che i manager siano formati alle soft skills. Ed allora via una bella analisi dei bisogni per poi iniziare un programma di corsi. Poi arriva l’Amministratore Delegato a cui un amico-collega ha parlato benissimo di quel consulente che ha quell'approccio molto speciale. Ed allora comincia un altro progetto. Chi può negare un progetto all'Amministratore Delegato … Dimenticavo, è il periodo in cui si fa l’analisi del clima … Ho certamente dimenticato molti progetti essenziali
Ovviamente ognuno di questi progetti e fondata su visioni diverse dell’organizzazione. Volete che i consulenti abbiano approcci uguali?
Sommate tutto … a voi immaginare il risultato che si ottiene … Con mille altri consulenti alle porte che … “ loro sì che hanno una esperienza unica da proporre” … che poi si risolve nel dire al potenziale cliente: Ah se ci fossi io al posto tuo sì che le cose funzionerebbero …

Così per ridere (o piangere) quasi a fine anno ….

giovedì 26 dicembre 2013

Non affidate la gestione del cambiamento ai consulenti

di
Francesco Zanotti



Invito sorprendente? Spero invito carico di nuove prospettive.
L’organizzazione non è come una macchina che mandate a riparare o trasformare. E poi attendete che ve la riportino sistemata così da poterla guidare meglio.
Non chiedete ai consulenti di “riparare” l’organizzazione. Chiedete, invece, ai consulenti di darvi risorse cognitive (modelli e metodologie) per comprendere la complessità organizzativa, per comprendere le dinamiche di sviluppo autonomo … sì perché l’organizzazione non si fa usare, ma si usa (cioè evolve) da sola … E poi chiedete loro delle metodologie di processo per governare questo evolvere autonomo.
Ovviamente controllate che i vostri consulenti siano all'avanguardia su tutti i campi disciplinari che abbiano qualcosa da dire sull'organizzazione: dalle scienze cognitive, alla filosofia, alla psicologie (le diverse tipologie di psicologie, alla sociologia all'antropologia. Non accettate modalità mono dimensionali di guardare all'organizzazione. Soprattutto non accettate che il vostro consulente non specifichi quale è la sua posizione rispetto allo stato dell’arte di tutte le aree di conoscenze rilevanti.

Non accettereste una mono dimensionalità provinciale neanche da uno che ripara la vostra auto. Deve saper usare sia la chiave inglese che l’elettronica .. almeno … Perché accettarla da chi vi deve fornire risorse cognitive? Non volete, non vi interessa che siano migliori di quelle che usano i vostri concorrenti? 

lunedì 23 dicembre 2013

Quale è la epistemologia prevalente nella vostra organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Ma che è sta cosa? E che c’entra con i problemi dello sviluppo delle imprese? C’entra perché l’epistemologia di una persona (e le persone sono l’asset fondamentale per costruire sviluppo, no?) è l’insieme delle sue convinzioni fondamentali, quelle che guidano i suoi giudizi, la sua capacità progettuale e relazionale, i suoi comportamenti. Quindi, non si può non tenerne conto. Pena il non capire nulla delle persone, costruirne una immagine superficiale ed artificiale che non permette nessuna azione efficace di governo.

Allora è necessario porsi alcune domande rispetto alla epistemologia. Quali sono le epistemologie possibili? Quale è più utile adottare per avviare la propria impresa verso lo sviluppo?
Osando una semplificazione estrema, credo che possano essere raggruppate in tre tipi.
La prima è l’epistemologia “realista”. Esiste un mondo fuori di noi che è indipendente da noi e che è possibile osservare e conoscere.
La seconda è l’epistemologia “post-moderna”. Non so se esiste un mondo là fuori di noi che è indipendente da noi. Quello che è certo è che noi possiamo conoscerlo solo soggettivamente perché osservandolo e cercando di capirlo inevitabilmente lo interpretiamo soggettivamente e contingentemente.
La terza è l’epistemologia “quantistica” (costruttivistica, se volete). Fuori di noi vi è un immenso mare di potenzialità di mondi in continua agitazione che dobbiamo far precipitare in qualche mondo specifico.
Si fa in fretta a capire che se un manager segue la prima epistemologia tenderà alla analisi ed alla formalizzazione. Convinto che le sue analisi e le sue argomentazioni sono quelle giuste. E peste colga chi non è d’accordo. Un macho manager ideologico, insomma
Se un manager segue la seconda epistemologia, sarà dolce e gentile. Interessato al processo e non ai contenuti. Interessato al benessere. Un formatore che non insegna, ma fa emergere.
Se un manager segue la terza epistemologia allora si comporterà come un imprenditore che crea mondi.

L’ideale? E’ ovvio: un mix di epistemologie che vengono usate in momenti diversi della vita organizzativa. Ogni scelta esclusiva ed assoluta è dannosa. Mi serve l’imprenditore che immagina mondi futuri. Deve avere la sensibilità post moderna di capire che questa creazione può essere solo sociale. E, poi, deve anche diventare esecutivo perché altrimenti i sogni restano sogni.

Nella vostra organizzazione, quale epistemologia prevale? Nello stadio a cui è giunto lo sviluppo della vostra organizzazione quale dovrebbe essere l’epistemologia guida?


venerdì 20 dicembre 2013

Ciò che pensiamo diventiamo

di 
Luciano Martinoli



Questo minuto e mezzo tratto dal film "The Iron Lady", sulla vita di Margareth Thatcher,  offre due importanti spunti di meditazione, entrambi resi intensi dalla magistrale interpretazione di Meryl Streep: la prevalente importanza che diamo alle "sensazioni" invece che alle idee, e il ruolo dei pensieri sulle nostre azioni.

mercoledì 18 dicembre 2013

Cambiare il cambiare

di
Francesco Zanotti


Credo che molti saranno d’accordo che la condizione di base per realizzare un cambiamento è il saperlo descrivere. Devo riuscire a dire alla mia gente cosa deve cambiare.
Ed allora vediamo cosa si riesce a descrivere. La cosa da cambiare sono i comportamenti. Cioè le singole azioni che mettono in atto le persone ... Sono queste che generano qualità, sicurezza, relazione con i clienti.
Bene riuscite a descrivere quali nuovi comportamenti devono mettere in atto le singole persone di una grande organizzazione sparse, magari, in tutto il mondo?  Beh converrete che la risposta è no. Ma se non si riesce a dare indicazioni su quali nuovi comportamenti mettere in atto, significa che si riesce solo ad agire indirettamente: sulle variabili che generano i comportamenti.
Si riesce ad esempio, a indicare quali valori perseguire e quali modelli generali di comportamento mettere in atto. Ma comunicando queste cose cosa si ottiene? Che ogni singola persona deve declinare questi valori e questi modelli di comportamenti nella sua realtà concreta. E lo farà partendo, innanzitutto, dal suo sistema cognitivo. Esso è sconosciuto a chi progetta il cambiamento. Non ne può tenere in conto. Questo significa che è sconosciuto il modo in cui ogni singola persona interpreterà la comunicazione dl cambiamento. Ed è questa sua interpretazione che guiderà il cambiamento dei comportamenti. Non solo, ma ogni singola persona è immerso in un suo micro ambiente sociale che è, parimenti sconosciuto a chi progetta il cambiamento, ma ha influenza sia sul modo col quale le persone interpretano il messaggio di cambiamento.
Possiamo fermarci qui (vi sarebbero anche altri fattori da considerare) per concludere che la modalità normale di perseguire il cambiamento (qualcuno lo decide e poi lo fa realizzare) non può funzionare perché la descrizione del cambiamento deve essere per forza di cose generale. Deve essere concretizzata nelle singole contingenze cognitive sociali. E questo processo di concretizzazione non può essere previsto. Detto in strema sintesi: un messaggio di cambiamento genera, certamente, un cambiamento, ma non si sa quale cambiamento genererà nelle cose che veramente contano: i comportamenti.

Conclusione: se ci teniamo davvero a dare il nostro contributo allo sviluppo di questo Paese riuscendo a guidare i cambiamenti nei comportamenti,  dobbiamo sviluppare una nuova logica di gestione dei processi di cambiamento. Non dobbiamo rinchiuderci in parrocchie e torri eburnee di potere. Dobbiamo tornare tra per le strade della conoscenza e cercare. Come i lettori di questo blog sanno, noi stiamo dando il nostro contributo.


sabato 14 dicembre 2013

Immaginate di essere un fantasma …

di
Francesco Zanotti


In una organizzazione quello che conta sono i fatti. Cioè i comportamenti delle persone … Allora immaginate di essere un fantasma e di andare a “visitare” la vostra organizzazione. Sì, un fantasma. Perché non vi devono né vedere, né sentire. Altrimenti i comportamenti (come lavorano, quello che dicono, come si relazionano tra di loro e con i clienti) cambiano. Un fantasma dunque … Lo so vi piacerebbe e so che sapete già che scoprirete una organizzazione che non avreste mai immaginato …
Ma un fantasma non siete …
Ma allora, mi direte, non sapremo mai come “funziona” veramente, al di là delle carte, come funziona la nostra organizzazione?

Se non si cambia radicalmente logica di governo, sì. Non saprete mai come funziona la vostra organizzazione, tanto meno saprete come cambiarla. E come cambiare la logica di governo? Il primo passo è convincervi che non siete fantasmi. E non esistono i surrogati dei fantasmi. Le indagini (tutte le indagini: dal clima all'analisi delle competenze) non vi dicono come è l’organizzazione, ma come la vostra organizzazione reagisce all'analisi. Quando siete convinti di questo ed avrete fatto anche il passo successivo (ma se non conosco la mia organizzazione, come faccio a governarla?) vedremo ….

mercoledì 11 dicembre 2013

Ma pensate che nella mente vi siano …

di
Francesco Zanotti


… rappresentazioni fedeli della realtà? Oppure interpretazioni individuali? Oppure costruzioni? La domanda non è filosofica. E’, invece, maledettamente pratica. Perché tutte le metodologie di gestione (analisi delle competenze, formazione, valutazione etc.) hanno senso solo se la mente genera rappresentazioni fedeli della realtà. Registra queste “immagini” e le recupera, sempre uguali a loro stesse quando vuole.
Se la mente non si relaziona a questo modo con l’ambiente esterno, ma costruisce una sua realtà (ovviamente in un modo misterioso per un “esterno”), allora analizzare, comunicare, formare, valutare sono azioni di cui si può misurare costi e fatica spesi, ma non si può sapere nulla dei risultati che si ottengono. Chissà che tipo di immagini ha costruito una persona quando gli abbiamo comunicato, abbiamo cercato di motivarlo, di formarlo etc.

Uomini e donne affaccendatissimi, non varrebbe la pena di sapere cosa diavolo fa la mente? Si rischia che questo affaccendarsi sia controproducente. Va beh, mi direte, fino a quando nessuno se ne accorge  non è un problema … Ma non mi sembra bello. Soprattutto non mi sembra prudente immaginare che nessuno si accorgerà mai che le scienze cognitive hanno raggiunto alcuni risultati che il management non solo ignora bellamente. Ma agisce all'esatto contrario …

venerdì 6 dicembre 2013

Liberazione cognitiva del top management

di
Francesco Zanotti



Siamo alla fine di un anno, ancora una volta difficile. Nonostante qualche ottimismo ufficiale ci attendiamo tutti un 2014 ancora difficile …
Noi pensiamo che potrà diventare un anno di svolta solo se attiveremo un processo di liberazione cognitiva.
Oggi siamo tutti prigionieri di una visione del mondo che è una versione quasi caricaturale, nella sua semplificazione estrema, della visione del mondo della fisica classica.
Questa visione va bene per costruire macchine, ma non per costruire organizzazioni e mercati. Se la usiamo per costruire organizzazioni e mercati, semplicemente non ci riusciamo. Non riusciamo a liberarci da una competizione insopportabile. Non riusciamo a mobilitare una organizzazione che ci sembra sempre più misteriosa e indolente.
Allora ci dobbiamo “liberare” dalla tirannia di una visione del mondo che, pur essendo parziale, è diventata egemonica. Soprattutto lo devono fare le classi dirigenti. In particolare lo deve fare il top management delle imprese.
Come?
Accostandosi alle visioni del mondo alternative che sono emerse in quasi tutte le scienze naturali ed umane.  Modi di guardare il mondo e di pensare nuovi.
Noi stiamo preparando “occasioni e strumenti”, pensati per il top management che hanno come obiettivo di rispondere alle seguenti domande:
·        quali sono i nuovi modi di pensare che emergono dalle scienze naturali ed umane?
·        come permettono di cambiare i processi di governo strategico-organizzativo?

L’appuntamento è per l’anno prossimo …

mercoledì 4 dicembre 2013

La comunicazione “chiara” e gli elefanti

di
Francesco Zanotti

Il manager che vuole guidare direttivamente una organizzazione fa come un elefante che entra furiosamente (col cipiglio del manager duro e puro) in un negozio di porcellane. Dire che crea scompiglio è usare un eufemismo.
Il cercare di comunicare chiaramente raggiunge lo stesso scopo: fa casino. Più chiaramente si comunica, più le porcellane (quell'intreccio indistricabile ed inconoscibile di fili sottili che costituisce l’organizzazione informale) vengono sminuzzate in pezzi senza senso. Per fortuna questi pezzi sono attivi e ricostruiscono un sistema di fili sottili, ma in modo del tutto sconosciuto al manager e certamente non finalizzato agli obiettivi aziendali.
Ma perché comunicare fa casino?


Perché … ecco bisogna confrontare il modello comunicativo di Shannon (quello oggi usato che ha la dolcezza e ottiene i risultati di un elefante) con il modello di Luhmann … e si capisce tutto …

domenica 1 dicembre 2013

Non spingete le nostre imprese a competere

di
Francesco Zanotti

Francesco.zanotti@gmail.com f.zanotti@cse-crescendo.com



La ideologia della competizione è il frutto di un grandioso successo di marketing. E’ cominciato tutto con la primitiva visione del mercato di M. Porter nei primi anni ’80. Essa, poi, è dilagata, ma diventando sempre più povera. Ed oggi ci affligge come un mantra banale che, però, sta causando danni incalcolabili.
Sta portando ogni settore industriale verso una guerra di prezzi che non può essere vinta, ma costringe le imprese a perdere sempre di più la loro capacità di produrre cassa. Qualche volta le costringe a pratiche discutibili, come risparmiare sulla sicurezza. Costringe cognitivamente le banche (che usano la stessa visione del mercato) a impostare le operazioni di ristrutturazione del debito sulla riduzione dei costi. Costringe il governo a sussidiare, fino a diventarne padrone, le imprese, invertendo così il principio chiave di una società liberale dove sono le imprese a produrre soldi e non ad essere mantenute. Rende strutturale ed inevitabile sia la riduzione dell’occupazione che la sua perdita di “qualità”: gli stipendi diminuiscono.
Ma non si può non competere, mi si obietterà. Non è vero! Intorno a noi stanno emergendo mille segni di possibili futuri che potrebbero attivare una nuova progettualità imprenditoriale. Essa creerà imprese che proporranno prodotti radicalmente diversi attraverso processi produttivi altrettanto diversi. Imprese che torneranno a produrre cassa e, quindi, occupazione e gettito fiscale. Oltre che una nuova società.

Manager che avete la responsabilità degli attori fondamentali di ogni progettualità imprenditoriale (le persone), non abbiate paura. Esistono le conoscenze che possono rigenerare imprenditorialità diffusa in tutte le imprese. Sono le metodologie e le conoscenze di strategia d’impresa. Imparatele: non è un delitto ammettere che non le si conoscono. Imparatele e diffondetele. Lasciate stare i costi di leadership, le valutazioni i sistemi incentivanti e compagnia cantante. Dobbiamo costruire un nuovo mondo con lo scalpello dell’artista. Come diceva Michelangelo: il David sta nella pietra, io l’ho solo tirato fuori. Una nuova economia ed una nuova società stanno nascoste nei segni dei tempi futuri. Tocca a voi dare alle vostre imprese le conoscenze necessarie per togliere il marmo di troppo. Lo scalpellare il marmo per produrre nuove imprese che diventano opere d’arte genera auto motivazione, auto formazione, collaborazione e tutto quello che oggi cercate di fare direttivamente e, quindi, artificialmente. Riuscendoci poco. O punto.