di
Francesco Zanotti
Partecipo
spesso a discussioni, dibattiti. In rete e non.
E
vorrei condividere il disagio profondo e la preoccupazione che generano queste
discussioni.
Sembrano
tanti monologhi auto rappresentativi, narcisistici, trincerati dietro
l’espressione “secondo me”.
Io credo
che i dibattiti andrebbero fondati, invece, sulle conoscenze di cui disponiamo
…
Proviamo
a riflettere su una delle sintesi più accettate per il Governo dell’impresa: il
Management by Objectives, fondato su motivazione, comunicazione, leadership, apprendimento,
controllo. Ed anche sulla visione “implementatoria” del Change Management:
analisi della situazione, progettazione ed implementazione del cambiamento.
Ora,
vi sono alcune aree di conoscenza che dicono cose importanti su chi è l’uomo
(visto che lo vogliamo gestire come risorsa umana), il suo rapporto con gli
altri uomini (nell'organizzazione) e il rapporto delle organizzazioni con
l’ambiente in cui vivono.
Le
cose importanti che dicono: le tradizioni culturali del “Management by
Objectives” e “Change Management” sono auto contraddittorie; il praticarle
genera danni stratosferici alle imprese. Le cose importanti che dicono: i
sistemi umani non sono caratterizzati dal loro funzionamento, ma dai loro
processi di sviluppo autonomo. Gestire sistemi umani non significa gestirne il
funzionamento, ma i processi di sviluppo autonomo. Di più: gli uomini e i
sistemi umani né comunicano, né apprendono; è impossibile motivare, le competenze
sono un paradigma insensato ….
Cito
solo alcune di queste aree di conoscenza. Sono: la teoria quantistica dei campi
e le sue applicazioni all'emergenza dei fenomeni collettivi ed alle
neuroscienze; la teoria della mente estesa, la teoria dei sistemi autopoietici,
la teoria delle reti; l’ermeneutica e il pensiero post moderno in genere; la
“scienza della strategia d'impresa. Preciso: non intendo le strategie delle
imprese, ma quel complesso di conoscenze che permettono di studiare e gestire
le complesse relazioni tra una impresa e il suo ambiente esterno.
Ora
quando, in qualche dibattito, provo ad esprimere questa opinione sull’inevitabilità
e sulle potenzialità dell’utilizzo (almeno) delle aree di conoscenza che ho
citato … si genera il vuoto. Non quello quantistico, che è, in realtà,
pienissimo. Ma quello banale, come è inteso nel linguaggio di tutti i giorni. Cioè:
il nulla.
Non
ho mai avuto il piacere di una risposta. Anche del tipo: non è vero che sono
conoscenze rilevanti.
La
ragione? Per ora ho in mente la più semplice: sono aree di conoscenza
sconosciute. E nessuno ha voglia di impararle … Per cui il dibattito non è
possibile.
Ma se
sono aree di conoscenza sconosciute, ma rilevanti, sarebbe bene conoscerle …
oppure contestarne l’importanza (ma per farlo occorre sempre conoscerle). Questo,
però, non accade. E si preferisce trincerarsi dietro tanti “Secondo me” … Cioè
esprimere opinioni che affermano (implicitamente, perché nessuno ha il coraggio
di farlo esplicitamente) di non avere bisogno di essere fondate su alcuna
conoscenza.
Disagio
e preoccupazione. Disagio perché non so come comportarmi. Sostenere fino in
fondo la tesi della “non conoscenza” … non è carino. Preoccupazione perché così
priviamo le imprese italiane di nuove e decisive (per il loro sviluppo)
conoscenze. Suggerimenti?