"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

giovedì 31 ottobre 2013

Più stabile di un diamante …

di
Francesco Zanotti

Un diamante è per sempre … in condizioni “normali” non muta mai … Poi in condizioni “estreme” ... invece sì! Si può anche trasformare in grafite …
Ma perché parlo del diamante? Per cercare una delle cose più stabili … (in realtà è in equilibrio meta stabile).
E per provare a confrontarlo con la risorsa umana: la consideriamo ancora più stabile del diamante. Conoscibile e di una conoscenza che non cambia. La si analizza (la risorsa umana) in termini di competenze potenziali, valori. Si registra da qualche parte questa descrizione e la si recupera quando la si vuole. Immaginando che rimanga sempre uguale a se stessa, almeno fino a quando non la “tagliamo”, non la “lavoriamo” con la formazione, l’empowerment … Non prevediamo l’esistenza di nessun tipo di condizione estrema … SAP ha la “casella” delle condizioni estreme, magari diverse da persona a persona?  No!

Ecco, diciamo che, invece, la risorsa umana è quasi tutto il contrario. Non ha alcuna stabilità, anzi evolve autonomamente. Quando proviamo a lavorarla, reagisce in modi del tutto imprevedibili. Se il diamante è per sempre, la persona umana non è neanche per un attimo …

mercoledì 30 ottobre 2013

Strategicità … de che?

di
Francesco Zanotti

Da un lato, tutti sono convinti della strategicità delle risorse umane. Dall'altro, le conoscenze e le metodologie di strategia d’impresa sono pressoché sconosciute. Per convincersene, il lettore provi a rispondere alle seguenti domande: ma cosa è la strategia di una impresa? Cosa vuol dire fare strategia? Cosa è il prodotto del fare strategia. Troverà difficoltà a rispondere … Di più: provi a chiedersi se è al corrente dello stato dell’arte a livello internazionale delle conoscenze e delle metodologie di strategia d’impresa.
Ma, allora, cosa si intende oggi quando si parla di strategicità? Purtroppo si parla banalmente di “importanza”. Per dire “molto importante” si usa dire “strategico”. Così si innesca la corsa a chi è più strategico. La strategicità delle risorse umane. Ovviamente anche quella delle risorse finanziarie e delle tecnologie. Poi, anche dei diversi uffici. Ad esempio, ho letto, in un gruppo di Linkedin, un post dal titolo: La strategicità dell’ufficio acquisti … Arriveremo alla strategicità della cancelleria … Sociologicamente, la “strategicità” è uno strumento di affermazione di ruolo da parte di chi l’appioppa a quello che fa. Se volete, uno strumento (banale e spuntato) di potere.
Ovviamente tutta questa strategicità è finalizzata alla competitività. Ma anche qui sarebbe interessante capire cosa si intende per “competitività”. Io credo che sia una parola generica, una parola valigia per indicare tutto il buono ed il bello. In realtà questa parola ha anche un significato tecnico, ma, allora, indica una scelta strategica assolutamente perdente. Ma avremo modo di approfondire …


lunedì 28 ottobre 2013

Tutti matematici e fisici “classici” in organizzazioni e mercati quantistici

di
Francesco Zanotti



Se la teoria classica è applicabile soltanto al caso della piena occupazione. È errato applicarla ai problemi della disoccupazione involontaria ... I teorici classici assomigliano a geometri euclidei in un mondo geometrico non euclideo, i quali, scoprendo che nell'esperienza due rette apparentemente parallele si incontrano, rimproverassero alle linee di non mantenersi diritte, come unico rimedio alle disgraziate collisioni che si verificano; mentre in realtà non vi è altro rimedio che respingere l’assioma delle parallele e costruire una geometria non euclidea.”
Da Teoria generale della moneta ed altri scritti di J. M. Keynes, traduzione italiana, Utet Torino 2005, pp. 200-1”. Riportato da Jean-Paul Fitoussi nel suo libro Il teorema del lampione, traduzione italiana Giulio Einaudi
Keynes già nei lontani anni ’30 aveva capito l’importanza delle risorse cognitive. Tanto che usa un modello (una risorsa cognitiva, appunto) prestato dalla matematica (le geometrie non euclidee) per descrivere le dinamiche delle scienze economiche.
Oggi è possibile andare molto al di là di Keynes ed usare un patrimonio di risorse cognitive molto più complesse, capace di farci vedere in modo nuovo il problema dello sviluppo delle organizzazioni: le risorse cognitive sviluppate nelle scienze naturali ed umane. Usando queste risorse si scopre che le organizzazioni sono attori quantistici che hanno un processo di evoluzione autonomo. Il funzionamento è un sottoprodotto di questo processo di evoluzione autonomo. Cercare di gestire il funzionamento è come acchiappare nuvole. Quando pensiamo di conoscere come funziona la nostra organizzazione, questa è già completamente cambiata. Come le nuvole appunto. Occorre, invece, conoscere come è il processo di evoluzione autonomo di un attore quantistico e capire come è governabile. Non certo direttivamente. Le operazioni di direzione tradizionali (analisi, pianificazione e controllo che sono operazioni da fisico classico e da matematico hilbertiano) non hanno senso. Non analizzano, non pianificano e non controllano. Il manager che pensa di dirigere analizzando, pianificando e controllando fa come un elefante che entri furibondo in un negozio di delicate porcellane cinesi. Certo che ottiene un effetto; ma è quello di distruggerne lievità e bellezza.
Il primo sconquasso lo generano le operazioni di analisi (delle competenze, dei valori, del clima). Esse danno risultati soggettivi (due osservatori diversi producono due diverse analisi) e l’atto del misurare cambia in un modo del tutto imprevedibile l’organizzazione misurata. La misura è l’ingresso dell’elefante nel negozio di porcellane cinesi.


mercoledì 23 ottobre 2013

Strattonato …

di
Francesco Zanotti
Mi diceva un operaio al termine di una lunga chiacchierata …
Sai in realtà io mi trovo ad avere molti capi che mi strattonano in direzioni tra loro incompatibili. Come se competessero su di me.
Beh, innanzitutto, c’è il mio Capo turno con cui ho a che fare tutti i giorni.
Ma poi ce ne sono altri.
Ci sono i Signori delle risorse umane che mi chiamano quando devono spostarmi o quando ho fatto qualche marachella. Oppure per mandarmi ad un corso di formazione.
Devo confessare che i Signori delle risorse umane ci sanno fare nel parlare con le persone: spiegano, ti fanno sentire a tuo agio, anche importante. Il mio Capo, invece, storce il naso: se do retta ai Signori delle risorse umane non lavoro.

Poi c’è anche un’altra categoria di Capi: i Capi progetto. Sai, da un po’ di tempo a questa parte, sembra che i progetti ci capitino addosso come se piovesse: dalla qualità, alla sicurezza, alla compliance. Ogni Capo progetto pensa che il suo sì che è importante e chiede la mia attenzione, il mio impegno. C’è anche ci mi dà i compiti a casa.
Il mio Capo storce il naso ancora più: “ma insomma, bisogna anche lavorare”, sbotta più di qualche volta.

Ecco io sono in mezzo alle attenzioni di tutti questi Capi. Io riconosco che sono progetti importanti. Un solo esempio: come faccio a non dare importanza ad un progetto sulla mia sicurezza? Ma anche quelli sulla qualità, che ovviamente devono essere coerenti con quelli sulla sicurezza. Mi sento sempre più conteso.
Ovviamente mi è difficile rispondere alle attese di tutti questi Capi che, ricordo, tutti insieme non sanno nulla della mia dimensione cognitiva, del sistema di relazione e delle antropologie nelle quali sono immerso. Mi è difficile vivere strattonato continuamente. Rischio di sentirmi inadeguato, sempre in colpa …


domenica 20 ottobre 2013

Il contributo delle scienze cognitive per lo sviluppo di persone ed organizzazioni

di
Francesco Zanotti
La capacità di ascolto, di costruzione di proposte e di espressione dipendono dalle risorse cognitive delle persone. Esempi di risorse cognitive sono la visione del mondo e i linguaggi. Il sistema di risorse cognitive di una persona evolve e, se non viene continuamente messo in discussione, tende a diventare auto riferito, bloccato. Persone con sistemi di risorse cognitive bloccati non sapranno ascoltare, confliggeranno con chi non la pensa come loro, ripeteranno sempre le stesse idee come un disco rotto.
L’utilizzo del paradigma delle risorse cognitive cambia completamente la visione del “governare” persone ed organizzazioni. Ad esempio, rivela il paradosso di una delle competenze manageriali che vanno per la maggiore. La capacità di negoziazione. Non parlate di negoziazione. Quando è necessario negoziare è perché ci si trova di fronte a due sistemi di risorse cognitive diversi e bloccati. Che faticosamente costruiranno compromessi che, subito dopo, sconfesseranno. Cercare di sbloccare i sistemi di risorse cognitive prima.
Le scienze cognitive ci danno un contributo importante a capire i processi di evoluzione dei sistemi di risorse cognitive e come gestire questa evoluzione.
Le scienze cognitive sono in profonda evoluzione. Io credo che l’approccio più interessante sia quello proposto da Giuseppe Vitiello e fondato sulla teoria quantistica dei campi. Comprende e supera le visioni, ad esempio, di Edelman, Damasio, Tononi ed altri. Si muove all'interno della visione quantistica della conoscenza. Noi abbiamo dato un contributo sia teorico che di operatività.


giovedì 17 ottobre 2013

Una analisi del clima: confessioni di un operaio

di
Francesco Zanotti
Il nostro Grande Capo è eccellente. E fa di tutto per capire chi siamo e come possiamo fare meglio. Ma qualche volta toppa di brutto. Come l’altro anno. Ha fatto fare un’analisi del clima da una società di consulenza esterna. Nessuno ci ha spiegato esattamente cosa sia il clima, ma dalle domande di un intervistatore mi è sembrato di capire che analizzare il clima serve a capire lo stato di salute “soft” (cioè non quello delle macchine, eccetera) dell’organizzazione. Forse indagare sul clima è un modo per conoscere le cose che il Grande Capo non conosce della sua organizzazione?
Se è così devo deluderlo. Questo sforzo di conoscenza non è andato a buon fine. Credo che tutti quegli intervistatori a spasso per lo stabilimento (anche ragazzi molto giovani che facevano tenerezza con quel loro dover essere l’impersonificazione della professionalità) non si siano accorti di una cosa: l’indagine non ha misurato il nostro clima, l’ha cambiato. E in peggio.
C’è chi si è irrigidito di fronte all'intervistatore considerandolo un intruso, chi ha usato l’intervista come momento di sfogo. I commenti, poi, su quei ragazzi che dovevano rivelare al Grande Capo chi eravamo veramente si sono sprecati. Come si sono “sprecati” (forse non è stato uno spreco … ) i commenti su di una intervistatrice particolarmente carina ed intrigante …
Tutti si sono chiesti perché è dovuto venire qualcuno dall'esterno per cercare di conoscerci meglio. Forse per valutarci?

Un’altra volta un’altra società di consulenza ha usato un questionario, invece dell’intervista. Ora, innanzitutto, ho provato un profondo disagio di fronte ad un questionario che mi costringeva a descrivermi “a crocette”. Ma, poi, al disagio è seguita una sgradevole sensazione di presa in giro. Mi sono accorto che le possibili risposte che il questionario proponeva per le sue domande (tra le quali dovevamo scegliere mettendo, appunto una crocetta) non erano proprio neutre. Era evidente a tutti noi quali risposte prediligeva (non si sa a quali fini) chi aveva preparato il questionario. E, allora, cosa abbiamo fatto? Lo abbiamo assecondato …
Anche questo secondo sforzo, però, non è stato fecondo. Non fosse altro perché abbiamo sentito il Grande Capo più lontano da noi. Abbiamo sentito che aveva bisogno di un intermediario.”.

Io, ovviamente, sto dalla parte di questo operaio. E ci aggiungo il peso della conoscenza: da tutto quello che sappiamo sull'uomo emerge chiarissimo che ogni sforzo di analisi del clima non genera una fotografia del clima, ma scombussola l'organizzazione in modi imprevedibili.



martedì 15 ottobre 2013

MBO: impossibile!

di
Francesco Zanotti

Con MBO, ovviamente mi riferisco al Management By Objectives e non all'altro significato delle sigla: “Management buy out”.
Detto tra parantesi: curioso che due significati diversi della stessa sigla non generino alcuna contraddizione. La spiegazione più probabile e che le due comunità che usano i due significati diversi della stesa sigla non si parlino mai …
Ma torniamo all’MBO pratico-gestionale.

Esso indica una precisa e non contestata modalità di governo: si definiscono gli obiettivi da raggiungere, all'interno di un contesto fisico e formale, cioè all'interno di invalicabili vincoli aziendali. Lo scegliere i comportamenti più adatti è lasciata alla libera iniziativa delle persone. Semplice come l’uovo di Colombo, ma solo in apparenza. Perché i problemi che emergono analizzando questo approccio sono molti e gravi.
Una prima osservazione (che in realtà, potrebbe anche non indicare un problema) è che, se si tirano in ballo gli obiettivi, si mette in crisi la mistica dei risultati che caratterizza troppi manager.
Infatti, i risultati che si dice di aver ottenuto (e che giustificano pretese prometeiche di questi stessi troppi manager) andrebbero confrontati con gli obiettivi che erano stati assegnati. Altrimenti, come si fa a sapere se i risultati sono significativi o meno? Nella realtà ci si dimentica di questa “dipendenza” ed allora si parla di risultati in astratto. Ognuno, ragionando ex post, giustifica come risultati quasi qualunque cosa …

Ma andiamo oltre, perché sono altrove i problemi più rilevanti.
Li descrivo in ordine sparso, non certo di importanza.

Il primo problema è che non è possibile un controllo nel durante, ma solo ex post: quando gli obiettivi sono stati raggiunti o non raggiunti. Se non sono stati raggiunti si prendono provvedimenti, ma è come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.
Mi spiego più dettagliatamente. Quando si fissa un obiettivo si stabilisce anche un tempo entro il quale l’obiettivo deve essere raggiunto. Se gli obiettivi sono spezzati in sotto obiettivi, il mio discorso vale a livello dei sotto obiettivi elementari.
Se si interferisce nel processo di lavoro e, quindi, di generazione degli obiettivi prima che sia passato il tempo assegnato, si distrugge la logica stessa dell’assegnare obiettivi. Se la si rispetta si accetta di poter controllare solo ex-post. Quando i buoi possono essere sia ben pasciuti nella stalla, ma possono anche essere scappati. Insomma, la logica degli obiettivi non è dei manager deboli di cuore, ma amanti delle sorprese.

Il secondo problema è che gli obiettivi sono etero definiti. Quindi, sono l’espressione delle risorse di conoscenza di chi li definisce. Poiché il “definitore” è gerarchicamente superiore a chi deve ricevere gli obiettivi, è esterno alla sua micro organizzazione. Questo comporta che le sue risorse cognitive non comprendano né una immagine “profonda” delle persone a cui vengono assegnati gli obiettivi, né quella della micro organizzazione in cui queste persone vivono. Allora può accadere di tutto. Che essi vengano giudicati “assurdi” da chi li riceve. Mentre, invece, se fossero auto determinati, potrebbero essere addirittura più sfidanti.
In ogni caso, obiettivi etero determinati scatenano, per forza di cose, un processo negoziale che ha come risultato inevitabile quello di “addolcirli”.

Il terzo problema è che si deve arrivare ad assegnare obiettivi individuali. Questo significa che occorrerebbe verificare che il raggiungimento di tutti gli obiettivi individuali porti a raggiungere obiettivi complessivi per tutta l’impresa.
Propongo un solo esempio. Uno degli obiettivi complessivi più rilevanti per una impresa è costituita dai flussi di cassa. Quale impresa dispone di un processo di definizione degli obiettivi così sofisticato che porta ad assegnare obiettivi individuali così ben coordinati che diventa chiaro a tutti come essi siano finalizzati alla generazione di flussi di cassa?
Non c’è nessuna impresa che disponga di un sistema di obiettivi così sofisticato. Ma non è una colpa, è una inevitabilità. Per riuscire ad individuare un sistema di obiettivi individuali che, sommati, “generano” gli obiettivi complessivi dell’impresa, occorrerebbe avere una descrizione completa e formalizzata dell’impresa. Cosa che non è possibile poiché una organizzazione non è un sistema classico.

Il quarto problema è che i comportamenti scelti dalle persone per raggiungere gli obiettivi loro assegnati, possono entrare in conflitto con le azioni scelte da qualcun altro.

Il quinto problema è che, poiché il processo di assegnazione degli obiettivi (anche a causa dei processi negoziali che scatena) è necessariamente lungo, accade che l’evoluzione dell’ambiente rischia di far diventare obsoleti gli obiettivi prima che siano definiti.
E si generano situazioni assurde nelle quali non si può pretendere che le persone cambino obiettivi ai quali è legata la loro retribuzione variabile.

Da ultimo, il problema più rilevante. L’obbligo di raggiungere gli obiettivi costringe a considerare strumentali le risorse che si hanno a disposizione, in specie le risorse umane. E questo non è solo inefficace (non permette di raggiungere gli obiettivi che l’organizzazione potrebbe raggiungere), ma è anche auto contraddittorio perché lo sfruttamento dei sottoposti può impedire loro di raggiungere i loro obiettivi. E se gli obiettivi individuali non possono essere raggiunti da tutti, allora la strategia degli obiettivi non sta in piedi.


venerdì 11 ottobre 2013

Pensate ad una riunione …

di
Francesco Zanotti


… magari ad una riunione interfunzionale, tra capi di funzione. O una qualunque altra riunione tra persone che non lavorano a stretto contatto di gomito, ma si vedono periodicamente …
Una riunione di questo tipo aggrega un gruppo di persone. E, in questo gruppo, si attivano almeno tre dimensioni: cognitiva, sociale ed antropologica.
I partecipanti a questo gruppo si portano dietro le dimensioni cognitive, sociali ed antropologiche dei gruppi di provenienza. Quindi, in un gruppo, si attivano relazioni complesse tra attori che si portano già dietro una loro complessità irriducibile.
Come vengono gestite queste riunioni? Usando il sistema di conoscenze che ha chi la guida. Attenzione … Non si può dire: io non conosco le dinamiche che si scatenano, quindi non le tocco.
Chi guida una riunione deve gestire inevitabilmente tutte queste dimensioni. Forse non se ne accorge, ma lo fa. E lo fa usando le conoscenze sulla cognitività di una persona, sulla socialità e sull’antropologia di un gruppo che sono nella sua disponibilità.

Insomma, un manager si costruisce inevitabilmente una sua teoria delle dinamiche cognitive, sociali ed antropologiche. Forse allora gli interessa anche sapere cosa si è scoperto di queste dinamiche …

mercoledì 9 ottobre 2013

Higgs e l’emergere della organizzazione informale

di
Francesco Zanotti


Su balbettanti poietici http://balbettantipoietici.blogspot.it/ ho postato un pezzo sul Premio Nobel della fisica dato a Higgs e Englert.
In questo blog completo il discorso per quanto riguarda l’organizzazione informale. E che c’entra l’organizzazione informale?
Io credo che Peter Higgs e Soci abbiano proposto un modello che non serve solo a capire tante cose del mondo delle particelle elementari, ma che serva a capire come si formano le identità: emergono da uno sfondo che si concentra intorno a dei catalizzatori che, però, non hanno la più pallida idea di cosa uscirà dal loro catalizzare.
Stiamo lavorando su tre casi di utilizzo in questo senso delle idee di Higgs e Soci.
Il primo riguarda le dinamiche politiche ed è postato su http://balbettantipoietici.blogspot.it/
Il terzo riguarda la strategia di una impresa ed è postato su
Del secondo parlo in questo blog brevemente.
Il manager è come una particella che con la sua azione di governo catalizza massa da quel fondo che è costituito dalle persone che vivono nella organizzazione. Questa massa si chiama organizzazione informale, che è l’ambiente da cui emergono i comportamenti. Ma il manager non può sapere che tipo di organizzazione informale può emergere che tipo di comportamenti ne conseguiranno. Allora cosa vuol dire governare una organizzazione? Vuol dire governare processi di emergenza di un imprevedibile che, però, alla fine, deve sembrare a tutti bello e giusto.

Crediamo che i risultati che stiamo ottenendo siano un grande contributo sia alle prassi concrete di Governo, sia al ruolo ed all'aspetto futuro di quella area di conoscenza “trasversale” alle altre che si chiama sistemica.

martedì 8 ottobre 2013

Il tabu’ delle risorse cognitive

di
Francesco Zanotti


Dai, la menate troppo con la storia delle risorse cognitive, ci dicono qualche volta …
Risposta: sì perché ci piange il cuore vedere persone ed imprese in difficoltà perché non usano le risorse cognitive disponibili.
Amici, quando governiamo (pensiamo, decidiamo, ascoltiamo, giudichiamo, progettiamo etc.) sistemi umani siamo costretti a gestirne la dimensione razionale, emozionale, sociale e antropologica. Per farlo usiamo le risorse cognitive di cui disponiamo in ognuno di questi campi. Forse non ce ne rendiamo conto, ma usiamo, innanzitutto, la nostra visione del mondo: siamo epistemologi senza saperlo. Poi usiamo una nostra personale teoria della persona umana, anche una nostra particolare teoria cognitiva. E infine usiamo nostre personali teorie sociologiche e antropologiche.
Ma noi ci basiamo sulla nostra esperienza, mi potreste obiettare e non su teorie. Credo che sia una obiezione da ripensare: la nostra esperienza è sempre l’applicazione di una teoria, anche se non esplicita …

Amici, noi non possiamo non usare risorse cognitive. Ed allora: perché usare solo quelle che ci siamo sviluppati da soli e non attingere a quelle esistenti?  In particolare, perché non consapevolizzare qual è il patrimonio di risorse cognitive che stiamo utilizzando e quali sono quelle disponibili che non stiamo usando. Giusto per poter offrire alle imprese che ospitano la nostra vita il meglio esistente … 

sabato 5 ottobre 2013

Liberare l’esistenzialità profonda

di
Francesco Zanotti

Forse non basta dire che tutti gli umani sono uguali. Credo si debba andare oltre.
Gli esseri umani sono dotati di una esistenzialità profonda che, a tutti gli effetti, può essere considerata infinità. E’ una infinita potenzialità di divenire, di costruire futuro.
Essa cerca di manifestarsi nel mondo, di costruire un mondo a sua immagine e somiglianza.
Per farlo ha bisogno di risorse di intermediazione. In particolare ha bisogno di risorse cognitive. Esse sono contemporaneamente strumento e limite. Sono strumento perché ci si esprime attraverso di loro. Sono limite perché ci si può esprimere solo attraverso di loro.
Vogliamo veramente generare cambiamenti profondi? Allora dobbiamo arricchire il sistema di risorse cognitive a disposizione delle persone. Soprattutto dei manager e dei consulenti che oggi rischiano di tarpare le ali alle loro esistenzialità profonde perché dispongono di risorse cognitive troppo anguste per la complessità della realtà organizzativa che devono governare.

Ma non c’è il tempo di farlo … Certo, perché è proprio l’insufficienza delle risorse cognitive usate che genera tutte le crescenti complicazioni che ci intasano la vita di tutti i giorni. Un patrimonio di nuove risorse cognitive è liberazione personale ed organizzativa.

mercoledì 2 ottobre 2013

Che futuro per un settore che parla solo di costi?

(...e considera le persone solo come meri "esecutori")
di
Luciano Martinoli


Lettera aperta al presidente dell'associazione di logistica AILOG.
Il caso di un settore, ma quanti altri soffrono degli stessi problemi? Per quanto tempo ancora potremo sopravvivere con la schizofrenia di considerare le persone esclusivamente "esecutrici" di compiti e allo stesso tempo richiedergli innovazione, partnership, collaborazione, senza affrontare il tema dei comportamenti (la loro natura, il loro sistema di "governo")?