"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

sabato 30 novembre 2013

Cosa deve chiedere un manager alla filosofia?

di
Francesco Zanotti


Beh può chiedere qualche contenuto per riempire spazi di formazione “originali”.
Oppure può rivolgere alla filosofia domande essenziali e concrete per lo sviluppo delle imprese.
Propongo qualche esempio.
A metafisica, ontologia ed epistemologia deve chiedere quale tipi di visioni del mondo ci sono. Più concretamente: quale visione del mondo è più utile in un periodo di crisi?
Alla linguistica: ma cosa significa comunicare?
Alla logica ed alla matematica: ma cosa significa “ragionare”?
Alla filosofia della mente: ma chi è la persona umana?
All'etica: ma da dove emergono i comportamenti?
Alla politica: ma cosa significa partecipare?


All’estetica: ma quale è il ruolo del bello nello sviluppo di una impresa?

venerdì 29 novembre 2013

Insensatezze apprentemente nobili

di
Francesco Zanotti


Girovagando per i Gruppi di LinkedIn si trova … di tutto!
Ho scelto una frase che suona nobile, ma è, invece, insensata. Eccola: “Le aziende dovrebbero imparare a capitalizzare il patrimonio di competenze che hanno al loro interno oltre che massimizzare i profitti.
Perché credo sia insensata?
La prima ragione è che, al giorno d’oggi, non mi sembra che chi cerca di massimizzare i “profitti” ci riesca … Ma poi: occorre specificare cosa siano i profitti. Sono una parola “mitica”. Non c’è una riga del bilancio denominata “profitti”. C’è: EBITDA, Utile, Cash Flow, ROE, Eva, valore delle azioni, dividendi. Il tutto a breve e lungo termine … “Profitto” dovrà essere per forza una di queste “cose”. E per perseguire il tipo di profitto scelto occorre fare cose diverse da quella che si dovrebbero fare scegliendo altre accezioni della parola “profitto”.
Ancora: ma “capitalizzare il patrimonio di competenze” significa dargli un valore ed inserirlo nello stato patrimoniale. Aggiungendo al conto economico di ogni anno la variazione del valore del “patrimonio di competenze”. Cioè: tanto più si aumenta il valore del patrimonio di competenze, tanto più si pagano tasse … se lo dite al CFO di una impresa in crisi che si può “valorizzare” il patrimonio di competenze, lo fa subito, così evita agli azionisti di mettere soldi (capitalizzare con soldi) quando le perdite azzerano il capitale.
Infine (ma certo non esaurendo il tema) occorrerebbe specificare come si valorizza (cioè si dà un valore ad un patrimonio di competenze …

Forse, però, chi ha scritto quella frase non intendeva usare concetti “precisi”, ma solo evocativi … Ma allora dovrebbe spiegare cosa intendeva evocare …

domenica 24 novembre 2013

Sapete quali “casi” di allometria vi sono nella vostra organizzazione?

di
Francesco Zanotti


Come è noto, ogni organizzazione ha un suo processo di evoluzione autonomo che nessuno si perita di cercare di gestire … Domanda incidentale: ma allora cosa gestiamo se è dai processi di evoluzione della organizzazione informale che si generano i comportamenti? Se non gestiamo i processi di evoluzione di una organizzazione, non gestiamo il formarsi dei comportamenti …
Ma torniamo al discorso principale: lo sviluppo autonomo non è uguale in tutti i “pezzi” di una organizzazione. Si manifestano, inevitabilmente, fenomeni di “allometria”. Cioè vi sono alcuni pezzi che si sviluppano (anche in questo caso autonomamente) più di altri.  Ma … conosciamo questi differenziali di evoluzione? Sono quelli che desideriamo? Di più: sappiamo quelli che desideriamo?

Oppure … lasciamo che siano i posteri (cioè quelli che ci sostituiranno) a rispondere a queste domande?

sabato 23 novembre 2013

Non si può descrivere una organizzazione

di
Francesco Zanotti



Come tutti sanno, l’organizzazione interna di una impresa (ma anche di un qualunque altro attore collettivo) è costituita da una parte formale (struttura fisica, sistemi di procedure etc.) e da una parte informale (le persone, i sistemi di relazione, le antropologie emergenti  etc.) che definiamo “organizzazione informale”.
Ora, accade che la parte formale sia analizzabile oggettivamente e descrivibile completamente e coerentemente. Quindi, è anche possibile indicare esattamente come cambiarla.
Mentre la parte informale, no! Non è analizzabile oggettivamente, quindi, non è descrivibile completamente e coerentemente. Quindi, ancora, non si riesce ad indicare come cambiarla.

Perché non è analizzabile l’organizzazione informale?
La ragione più evidente è che non esiste un modello (riduzionistico) di organizzazione informale che dica quali sono i “pezzi” di cui è costituita. E se non si sa quali siano i pezzi da analizzare, come si fa a farlo?
Ma vi sono anche ragioni più profonde.
La prima ragione è che l’organizzazione informale non ha una identità definita: è uno, nessuno e centomila. E appare diversa a seconda dello sguardo  che la osserva  e di quando la osserva.
La seconda ragione è che lo sguardo umano, quando si trova di fronte a qualcosa che può essere mille cose, non riesce ad essere neutro, ma deve fare i conti con la propria soggettività che lo porta ad avere uno specifico angolo visuale ed attivare personali processi di interpretazione. Finisce che il cercare di analizzare è come proiettare l’identità dell’analista (consulente o manager che sia) nell'organizzazione. Analizzare è come guardarsi allo specchio in un certo contesto. Ci guardiamo allo specchio e pensiamo di guardare l’organizzazione. Ma quella che vediamo è solo il fantasma della nostra immagine in quel contesto.
In sintesi, la struttura della organizzazione informale e il tipo di relazione che la lega con l’esterno sono post-moderne.

L’organizzazione protagonista
In realtà vi è una terza ragione per cui l’organizzazione informale non può essere descritta: perché è dotata di vita propria. Si accorge dello sguardo e interferisce con lo sguardo generando una sua identità che dipende dallo sguardo e lo modifica.
Voglio dire che l’organizzazione è un attore non solo post-moderno, ma anche quantistico.
Questo significa che un’organizzazione cambia ogni giorno ed ogni istante autonomamente. Detto più precisamente, ogni organizzazione cambia, giorno per giorno, in un modo molto particolare: costruisce un suo proprio processo di evoluzione che risuona con l’evoluzione esterna dell’impresa.
Questa indiscutibile realtà assesta il colpo decisivo non solo alla pretesa di poter descrivere una organizzazione, ma a, più complessivamente, alla illusione dei manager di considerarsi, almeno, generatori di un cambiamento che una organizzazione non attiverebbe mai da sola.
 

Purtroppo (o per fortuna) il cambiare o meno non è una scelta del management. Anche se il management non promuove il “Change”, l’organizzazione non se ne sta buona buona uguale a se stessa. Parafrasando uno dei postulati della “pragmatica della comunicazione”: non si può non cambiare.

martedì 19 novembre 2013

Ma pensate veramente che …

di
Francesco Zanotti



Immaginate che un Responsabile HR vada dal suo CEO e gli dica: “Guarda, io so esattamente quali sono le competenze che servono per far aumentare i flussi di cassa. So quali sono le competenze possedute. Conosco il gap tra il necessario e il posseduto e so esattamente quali sono le cose da fare per colmarlo. Il fare queste cose costa tot e produce un preciso e prevedibile aumento dei flussi di cassa.” Pensate che il CEO gli darà i soldi per fare quello che il responsabile HR propone? La mia risposta è: certamente sì.
Se, invece di fare questo discorso, se ne fa uno più sfumato, allora, proporzionalmente, sfuma la probabilità che il CEO consideri le iniziative proposte come un investimento e non come un costo.
Ecco, ovviamente non sto parlando di ROI della formazione o sciocchezze simili. Immagino che il sapere quali competenze servano significhi sapere quali siano le competenze necessarie ad attivare i comportamenti che permettono di aumentare i flussi di cassa …
Purtroppo non è possibile collegare le competenze ai comportamenti. In realtà, non è neanche possibile sapere quali sono i comportamenti giusti …
Conclusione? Per ora solo una in negativo: tutte le attività oggi legate alle competenze sono un costo del quale non si può conoscere l’effetto. Può anche essere negativo.
In positivo? Cominciamo a non attivare iniziative delle quali non si possono conoscere gli effetti … Solo così ci verrà voglia di una nuova proposta.

  

sabato 16 novembre 2013

Manager HR e “libertà”

di
Francesco Zanotti


“Detto in tutta sincerità, sai perché mi piace fare il manager HR? Perché non ci sono leggi da applicare, vincoli, procedure … Affronto ogni problema esattamente come penso e voglio …”.
Che bello … Tranne che il dire “come penso e voglio” significa considerare il proprio sistema di conoscenze come quello definitivo: nulla da apprendere da nessuno … Significa considerare le proprie pratiche come le migliori al mondo.

Una completa libertà da qualunque conoscenza che rischi di suggerire visioni e pratiche nuove.Con buona pace delle imprese che, visti i risultati (chi sostiene che non stanno aumentando le ?), avrebbero bisogno come il pane di nuove conoscenze (da parte dei consulenti) che permetterebbe ai manager di avviare nuove pratiche ….

mercoledì 13 novembre 2013

Governare cosa? Ma i comportamenti, che diamine

di
Francesco Zanotti


Io credo che tutti siano d’accordo che governare una organizzazione significhi governare i comportamenti delle persone. Per il semplice motivo che sono i comportamenti delle persone che generano i risultati aziendali.
Bene, se vogliamo governare i comportamenti delle persone dobbiamo sapere da cosa sono generati. Se non so cosa li causa, come faccio a governarli?
Purtroppo oggi la “scienza” del management non contiene una teoria dei comportamenti. Conclusione: se non esiste una teoria dei comportamenti, non si può governarli!

Allora è necessario ed urgente cercare questa teoria. A maggior ragione oggi, quando abbiamo ampiamente verificato che i comportamenti attuali non vanno gran che bene ed occorre cambiarli. 
Mi piacerebbe aprire un dibattito. Su due domande: 
Signori Consulenti, su quale teoria dei comportamenti vi basate? 
Signori manager, come fate a gestire e generare cambiamenti se non disponete di una teoria dei comportamenti?

lunedì 11 novembre 2013

Pratiche problematiche

di
Francesco Zanotti


Post breve e secco. Per non dare adito ad equivoci. Sostengo che tutto il pensiero, "umanistico" e "scientifico" (per usare due categorie conosciute) degli ultimi due secoli, in un crescendo rossiniano, dimostra che tutte le pratiche, che hanno come attività di fondo la misurazione o la valutazione delle persone e delle organizzazioni, sono scientificamente insensate. Gli esempi sono innumerevoli: analisi del potenziale, valutazione delle performances, analisi del clima, analisi delle esigenze formative. Sì, tutte queste pratiche sono insensate.
Che facciamo? Continuiamo a farle perché ci tranquillizzano? O vogliamo aprire un dibattito in proposito? O vogliamo sostenere che tutto il pensiero degli ultimi due secoli  è del tutto inutile?

Ai nostri lettori una risposta …

venerdì 8 novembre 2013

Manager, dentisti e capelli biondi

di
Francesco Zanotti

Quando dovete scegliere un dentista ed avete i capelli biondi, non andate da quelli che hanno curato tante persone con i capelli biondi. Cercate, forse, chi ha il prezzo più basso o chi ha curato vostri amici. Meglio sarebbe informarsi sulle tecnologie e le metodologie usate dal dentista.
Scusate la storiella personale. Sono andato da un dentista milanese, presentatomi da un amico, a farmi una visita di controllo. Mi ha detto: serve solo una pulizia dei denti. Ma io sentivo che non bastava. Allora mi sono informato ed ho trovato un dentista che mi sembrava molto più attrezzato tecnologicamente e metodologicamente. L’ho trovato ed infatti mi ha diagnosticato … non ha importanza e mi sta efficacemente curando … anche questo non ha importanza.
Oggi la ricerca di un consulente dovrebbe essere la ricerca di chi offre le migliori conoscenze e metodologie strategico organizzative. Ovviamente il manager deve dotarsi di una visione dello stato dell’arte a livello internazionale delle conoscenze e delle metodologie esistenti. La selezione di un consulente dovrebbe iniziare da una domanda: caro consulente, mi fai una panoramica dello stato dell’arte internazionale delle conoscenze strategico-organizzative e mi dici come ti posizioni rispetto ai tuoi concorrenti?

Mi si potrebbe obiettare: ma io cerco quello che ha maggiori esperienze. Contro obiezione: ma come fai a misurare l’esperienza? Non è che rischi di andare a cercare quell'esperienza che riconosci … ma che potrebbe c’entraci con le sfide di sviluppo della tua impresa come i capelli biondi con i denti?

martedì 5 novembre 2013

Colaninno e la “macchina”

di
Francesco Zanotti

Tra le molte cose che ha detto oggi Colaninno nell'intervista al Sole 24 Ore ve ne è una che spiega il guaio (prevedibile) in cui continua a rimanere Alitalia.
Ad un certo punto egli dice: “Quattro anni sono serviti solo a rendere la macchina più gestibile”  per giustificare che non si è ancora alla redditività.
Ecco l’errore fondamentale in cui incorre tutta una classe manageriale: il considerare una organizzazione una macchina che bisogna modificare (cambiare) per far funzionare meglio.

L’organizzazione non è una macchina, ma è un sistema umano capace di auto evoluzione. Cioè è un sistema che si cambia da solo. Non è neanche un sistema che si auto-organizza. Si tratta di auto-riorganizzazione continua. Cioè un processo di evoluzione. Un sistema di questo tipo non si può far funzionare come si vuole. Funziona come vuole lui. Le “istruzioni” che gli posso impartire sono come stimoli che usa come gli pare. Un sistema di questo tipo non può essere cambiato. Si cambia da solo come vuole. Le “istruzioni” di cambiamento sono un altro tipo di stimoli ai quali il sistema reagisce, anche in questo caso, come gli pare. Ed allora come si governa una organizzazione? Occorre capire quali sono le dinamiche di auto-evoluzione e intervenire in quel processo. La variabile chiave è costituita dalle risorse cognitive. 

lunedì 4 novembre 2013

Consulenti: il dovere della ricerca, frutto di investimenti

di
Francesco Zanotti

Credo che il management abbia bisogno di innovazioni importanti. Basta guardarci intorno (ai risultati che stiamo ottenendo) per convincerci che le attuali teorie e pratiche manageriali non è che ci possano soddisfare.
Ma da dove possono venire le innovazioni? Innanzitutto devono essere innovazioni “competitive”: noi consulenti italiani dobbiamo fornire ai nostri clienti innovazioni migliori di quelle che le migliori società di consulenza offrono ai loro clienti internazionali. Noi consulenti italiani non possiamo non sentire l’obbligo di considerare il mondo come nostro mercato di riferimento.
Ma come si ottiene questa tipo di innovazione? Attraverso investimenti in progetti di ricerca che impegnino team di ricerca.
Noi abbiamo avviato un progetto di ricerca di questo tipo.
Abbiamo censito, innanzitutto, le principali teorie e metafore manageriali disponibili. Ne abbiamo censite almeno una trentina.
Abbiamo, poi, esplorato le scienze naturali ed umane per cercare nuovi modelli e metafore: dalla matematica, alla fisica, alle neuroscienze, alla teoria della evoluzione, fino alla filosofia.
Abbiamo costruito una sintesi di tutte queste conoscenze e ne abbiamo ricavato un nuova filosofia di governo che è tanto complessa nelle origini quanto di semplice utilizzo. Nella nostra sintesi sono “riconoscibili” i contributi di tutte le teorie, metafore e scienze.

Siamo alla ricerca di contributi nuovi. Cioè non presenti nella nostra sintesi.

sabato 2 novembre 2013

Scelta e promozione dei talenti … o del proprio sistema cognitivo?

di
Francesco Zanotti

Apparentemente è affascinante, con questo retrogusto evangelico …
Ma qualche riflessione si impone. Come di fa a decidere chi è un talento? Purtroppo è oramai evidente che la scelta dei talenti dipende non da una misura oggettiva, ma dal sistema cognitivo del valutatore. E’ psicologicamente, sociologicamente e antropologicamente soggettiva.
Poi, quando anche si fossero scelti i talenti, come si fa a capire come svilupparli e dove impiegarli? Quindi?

Forse è il caso di esplicitare il retrogusto evangelico. E  pensare che il vangelo non premiava la differenza dei talenti, ma premiava (o puniva) il loro utilizzo. Allora forse il manager dovrebbe avere la responsabilità di mobilitare i talenti di tutti senza pretendere prima di conoscerli perché è una cosa impossibile da farsi.