"Non è la mente l'origine dell'uomo, sono le passioni che originano tutto, anche il pensiero. E' il sentimento il seme dell'uomo, sono l'amore, la passione." (M. Tobino)
E' "vero" tutto ciò che ci piace e che decidiamo insieme agli altri che sia vero

mercoledì 31 dicembre 2014

Caro CEO, vuoi veramente valorizzare le persone? Fai progettare loro la strategia!

di
Francesco Zanotti

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Scoprirai che ti conviene anche. Forse ti sembra mortifichi il tuo “io”. Forse ti sembra impossibile a farsi. Ma è inevitabile. E il nuovo ruolo del tuo Responsabile HR è rendere disponibili le risorse cognitive perché sia possibile farlo.
Perché? E’ inevitabile? Perché così accade già! E non accade bene.
Infatti, la strategia dell’impresa, quella che produce i risultati per i tuoi azionisti e la collettività, non è quello che scrivi su di un pezzo di carta. E’ la “somma” dei comportamenti di tutte le persone che vivono nella tua organizzazione. E tu questi comportamenti oggi non li governi in nessun modo, ma vengono scelti autonomamente dalle persone. Poiché vengono scelti da persone che hanno sistemi cognitivi eterogeni e, speso, poveri, allora la loro “somma” sarà un guazzabuglio incredibile che presenterà all'esterno (dai clienti ai fornitori agli stakeholder tutti) una immagine della quale tu non sai nulla.
Poiché non puoi progettare una mega procedura che preveda tutti i comportamenti delle persone, allora la scelta degli stessi rimane inevitabilmente in capo alle persone. Sono dotate di una fondamentale libertà strategica. Sono loro che fanno la strategia, non tu. Se vuoi veramente recuperare il tuo ruolo strategico (che oggi non hai) non puoi che fare in modo che consapevolmente scelgano comportamenti sinergici all'interno e significativi all'esterno. Vedrai che non opporranno resistenza: quello di progettare insieme il proprio lavoro è il miglior modo per auto realizzarsi nell'ambiente lavoro.
Saranno i tuoi uomini di linea a governare nel dettaglio questo processo di progettazione collettiva. E così diverranno veramente i gestori e valorizzatori delle risorse umane. Saranno i tuoi uomini del personale che distribuiranno le risorse cognitive (conoscenze e metodologie) necessarie a far si che questo processo di progettazione sociale della strategia sia eccellente. Ovviamente dovranno essere in grado di trovare sul mercato le migliori conosce risorse cognitive. E finalmente potranno dire che sono riusciti a dimostrare che le risorse umane e la gestione delle risorse umane sono strategiche.
Da ultimo, quel pezzo di carta su cui scrivi oggi la tua strategia e che chiami Business Plan non sarà più un pezzo di burocrazia, ma il racconto emozionante del futuro che la tua gente, il tuo popolo, vuole costruire.



domenica 28 dicembre 2014

Tutto è strategico … quindi banale

di
Francesco Zanotti


Chi rinuncia a dire che le cose di cui si occupa sono strategiche?
I diversi specialisti dichiarano che è strategica la finanza, lo sono le risorse umane, lo è la tecnologia, lo sono i dati …
M si tratta di un’affermazione almeno superficiale. Innanzitutto si richiama ad una definizione di “strategico” che somiglia a “molto … importantissimo”. Affermare che è una cosa è strategica significa cercare di usare qualcosa che è ancora più forte di importantissimo. Sostanzialmente, allora dichiarare che quello che si fa è importante è cercare di garantire spazio vitale al proprio ruolo.
Sembra che all'interno delle organizzazioni vi sia una competizione acerrima per l’attenzione del Grande Capo e per le risorse che egli deve allocare. Non è solo un discorso di convenienza, non lo è mai quando ci sono in ballo gli esseri umani. E’ un discorso affettivo. E’ dello stesso tipo  di competizione per l’attenzione, le coccole e il giudizio del papà.

Tutto questo, ovviamente, impedisce che si sviluppi un discorso serio sull'effettivo ruolo delle diverse risorse ed attività nel promuovere lo sviluppo dell’impresa. Lo “strategico” cancella la “strategia”.

giovedì 25 dicembre 2014

Diciamo solo banalità (organizzative)

di
Francesco Zanotti


Chi non dice mai banalità scagli la prima invettiva … E nessuno scaglierà nulla perché tutti noi diciamo qualche banalità …
Il problema è quando si dicono solo banalità! E oggi la vita organizzativa è fatta quasi soltanto di banalità. Guardate ai documenti aziendali, anche quando si parla di valori, si propongono solo elenchi puntati, come se fosse la lista della spesa. Ci si aspetta di mandare qualcuno al mercato a comprarli?
Guardate alle mission: sono banalità intercambiabili. Intercambiabili nel senso che vanno bene per qualunque impresa. Non mi credete? Allora fate una prova. Buttate in un cestino le mission di …  facciamo venti imprese dei settori più diversi, togliete loro i riferimenti ai nomi delle imprese e date una bella rimescolata. In un altro cestino mettete i nomi delle imprese, sempre ben rimescolando. E, poi, abbinate, estraendo a sorte, mission ed impresa. Se gli abbinamenti, costruiti così a caso sono sensati, allora le mission sono proprio banali. Banalità che vanno bene per tutte le stagioni.
Qualche volta si usano parole importanti (bellezza, ad esempio), ma esse non si staccano dalla banalità. Risuonano retoriche. Perché non si spiega come la bellezza può permettere di rivoluzionare l’identità strategica delle imprese in modo che riprendano a generare economics generosi.
Ragazzi, dobbiamo trovare il modo di smetterla con le banalità. I “casini” che ci opprimono ogni giorno nascono dalle banalità che si cerca di vendere come grandi progetti. La crisi complessiva è la somma di tutte queste banalità.
Un buon Natale a tutti.


martedì 23 dicembre 2014

Parlando chiaro … almeno a Natale

di
Francesco Zanotti


… soprattutto a quelli che non sono giovanissimi … Vogliamo riconoscere che siamo profondamente egoisti?
Ricordo una esperienza terrificante di un Signore di circa 70 anni che ancora cercava auto-rappresentazioni, che ancora non aveva appreso la bellezza dell’apprendere, del lasciare una eredità …
Gli si diceva che le scienze cognitive, le scienze umane stavano aprendo scenari imprevisti ed emozionanti. E lui ancora a cercare di dire .. “Ma io, anch'io, la mia esperienza”. Povero, lui e la sua esperienza.
Un Direttore delle Risorse umane degno di questo nome deve essere un profeta coraggioso e generoso.
Solo se saprà essere un profeta generoso e coraggioso farà un servizio all'impresa che lo paga. E potrà serenamente guardare in faccia alle nuove generazioni (magari figli suoi) leggendo nei loro occhi riconoscenza e impegno a continuare la sua storia di impegno, generosità conoscenza e profezia.

Poveri tutti noi che ci trinceriamo dietro alle urgenze per rifiutare la conoscenza, l’apprendimento la sperimentazione coraggiosa di una innovazione scientificamente fondata. Se saremo derisi, o anche solo compatiti (nel senso “normale” e non etimologico della parola) sarà solo colpa nostra.

sabato 20 dicembre 2014

Libri, Banalità e Natale ...

di
Francesco Zanotti



Prendete tra le mani i “grandi libri” sia della letteratura che delle scienze naturali ed umane. Ogni banalità è bandita, la profondità è abissale, l’emozione è ad ogni pagina, cambiano la vita.
Ora prendete in mano un libro di management, anche i più autorevoli. La banalità è di casa, la profondità è quella dal bagnasciuga, l’emozione è la noia, la vita risponde con sbadigli ad idee banali, superficiali e noiose.
Accade, addirittura, che qualche libro italiano sia solo un plagio di libri stranieri famosi. E si cerca di nascondere il plagio con qualche trucchetto in cui solo editori disattenti possono cascare. Non voglio fare nomi, anche se una volta il nome l’ho fatto: andate a cercarlo su Persone&Conoscenze di Francesco Varanini. Se qualcuno è interessato ai libri copiati, mi scriva.
Domanda: regalereste a Natale un libro di management? Credo proprio di no!

Seconda domanda: vi piacerebbe ci fosse un libro di management che cambia la vita? Non so la vostra, ma la mia risposta è: è indispensabile che qualcuno scriva questo libro di management perché dobbiamo urgentemente cambiare la vita delle nostre organizzazioni.

venerdì 19 dicembre 2014

Responsabilità di bellezza

di
Francesco Zanotti


Volete veramente che la vostra organizzazione aumenti i suoi risultati economici?
Innanzitutto, io onestamente credo che pochissimi tra coloro che si occupano di risorse umane ed organizzazione vada al di là delle retoriche quando parla di risultati aziendali. Lo dimostra il fatto che tutti gli interventi di formazione, sviluppo, cambiamento non hanno mai come obiettivo diretto i comportamenti che sono i veri determinanti dei risultati aziendali. Tutti giocano su quelli pensano siano i determinanti dei comportamenti (dai valori alle competenze), ma non sanno spiegare come questi determinanti funzionano. Come cambiano i comportamenti agendo su di essi.
Detto questo che c’entra la responsabilità verso la bellezza? C'entra perché è il parametro di governo fondamentale: misura se e quanto una organizzazione raggiunge risultati rilevanti. Se tutti coloro che vivono in una organizzazione sentono di costruire bellezza, allora state certi che state vivendo in una organizzazione ricca, economicamente ed esistenzialmente. Si parla di benessere da costruire e stress lavoro correlato da eliminare, si parla di talenti e diversità da valorizzare. Bene se le persone cercano bellezza, allora tutte queste cose le state facendo.
E se la bellezza vi è sconosciuta? Allora, se veramente vi interessano i risultati della vostra impresa, cominciate a cercarla. Il primo passo qual è? Quello di far costruire a tutte le persone che vivono nella vostra organizzazione un Progetto Strategico, opera d’arte.

Se non sapete come fare, troverete in ogni dove nei nostri blog la risposta.

martedì 16 dicembre 2014

Consulenza: una offerta spezzettata, eterogenea e conflittuale

di
Francesco Zanotti


Ho provato a fare un censimento dell’offerta di consulenza sui temi della organizzazione e delle risorse umane.
Si tratta di una offerta spezzettata, eterogenea e conflittuale.

Offerta spezzettata.
Nel senso che vi sono una miriade di offerte che riguardano temi specifici non integrati tra di loro.
Un elenco provvisorio che ciascuno può arricchire.
Vi sono offerte che riguardano singole variabili individuali. Ad esempio: le emozioni, le diverse competenze manageriali, l’empatia, gli interessi, i valori. E non esiste una proposta che le integri.
Vi sono offerte che riguardano singole issue organizzative. Ad esempio: la qualità, l’efficienza, l’etica, il benessere, la sicurezza, il clima, la compliance etc. E non esiste una proposta per gestirle tutte insieme. Come non esiste una proposta complessiva che riguardi, insieme, issue individuali ed organizzative.
Vi sono, da ultimo, proposte che riguardano i processi. Ad esempio: teatro, story telling, outdoor, 5S, complessità, esperienze eccellenti, reti sociali. Ma non sono collegati né ad issue organizzative, né individuali.

Offerta eterogenee
Tutte queste proposte sono ispirate da sistemi di conoscenze tra di loro non omogenee. In particolare vi sono proposte dal sapore decisamente postmoderno e altre dal sapore strettamente moderno. Mentre, me lo si lasci dire, non vi sono proposte costruttiviste, cioè coerenti come la visione strettamente costruttivista degli imprenditori.

Offerte conflittuali
A causa della loro parzialità e della loro eterogeneità culturale sono inevitabilmente conflittuali. Banalmente: non si possono realizzare tutte insieme. Per tempi e costi: se si realizzano tutte queste proposte poi non si lavora più. Il realizzarle tutte insieme ha un costo insostenibile. Non si possono realizzare tutte insieme perché sono culturalmente eterogenee. Non solo, quindi, non sono integrate, ma non si possono integrare.

Purtroppo il fatto che l’offerta sia spezzettata, eterogenea e, quindi, conflittuale porta i consulenti ad essere commercialmente aggressivi.
Questo non li aiuta certo commercialmente, ma mette in posizione di difesa il management che dovrebbe comprare.

La soluzione? Ne parleremo …

sabato 13 dicembre 2014

Navicella spaziale artigianale ???

di
Francesco Zanotti


Tutti concordano sul fatto che per progettare una navicella spaziale servono tante conoscenze che provengono da diverse scienze. Addirittura: tutti sono d’accordo che occorre cercare ed usare le migliori conoscenze disponibili.
Per progettare una organizzazione, no! Non si usano le conoscenze che riguardano l’uomo (dalle scienze cognitive alle diverse psicologie), che riguardano i  gruppi di uomini (la psico-sociologia), che riguardano le organizzazioni nel suo complesso (sociologia e antropologia). Si usano dilettanti allo sbaraglio che, inconsciamente, si costruiscono loro personali scienze cognitive, psicologie, psico-sociologie, sociologie, antropologie. Che sono inevitabilmente troppo povere.
Come se un ingegnere potesse chiedere di essere assunto alla NASA solo perché ha fatto, senza alcuna conoscenza fondamentale, esperienza. Mi si obietterà: certo l’esperienza può sostituire la teoria. No! Solo se si è superficiali, lo si può pensare. Nessun ingegnere farà mai alcuna esperienza senza prima dimostrare di conoscere la matematica, la fisica … e tutto il sapere “sociale” (frutto della ricerca mondiale) della sua particolare specialità ingegneristica.
Certo anche nel management si fa così: ci si accerta che i manager (e lo si fa tanto più il ruolo è importante) dispongano di tutte le conoscenze più avanzate di scienze cognitive, psicologia, psico-sociologia, sociologia e antropologia. O no?
Decisamente no. E se, anche usando tutte le conoscenze disponibili anche le più sofisticate navicelle hanno incidenti, troverete la ragione perché le organizzazioni oggi hanno quasi solo e soltanto incidenti: crescita dei conflitti, perdita di capacità di generare risultati. la ragione è che, invece che di conoscenze avanzate per progettarle si usano conoscenze banali. E, poi, parliamo di crisi. In realtà, invocare la crisi è solo un modo per scaricare la coscienza: è la nostra “non conoscenza” che genera le crisi in cui viviamo. La supereremo quando cominceremo ad usare le conoscenze esistenti.


martedì 9 dicembre 2014

La valorizzazione “pelosa” del Capitale Umano

di
Francesco Zanotti
Nessuno si azzarda a negare l’importanza del capitale umano, la necessità di valorizzarlo. Ma tutto rimane retorica. E pelosa per giunta! Qualcuno ha voglia di reagire? O siamo tutti spaventati a difesa (impossibile) di aree professionali e consulenziali sempre più ristrette?
Mi spiego.

Il top management crede che la valorizzazione del capitale umano non sia un suo compito. Lo delega agli specialisti. Come se le persone siano pezzi dell’apparato organizzativo che vanno fatte funzionare da tecnici specializzati. Se guardare ai Business Plan delle imprese più importanti di questo paese (le aziende dell’indice FTSE MIB) di Borsa Italiana non si trovano che vaghi accenni al capitale umano. Soprattutto nessun accenno a come questo capitale umano può dare una mano a far uscire tutte queste imprese dalla illusione di essere istituzioni eterne.

I Manager specialistici non utilizzano le risorse cognitive disponibili. Come si fa a gestire qualcosa di cui non si conosce nulla? Come si fa a progettare attività di cambiamento e di formazione senza usare le conoscenze che riguardano l’uomo (scienze cognitive e psicologia, in testa), che riguardano i rapporti tra gli uomini (psicosociologia), la dimensione sociologica ed antropologica delle organizzazioni? Mi si ribatterà: ma la psicologia la usiamo. Certo, solo quella particolare psicologia (ma ce ne sono tante) che si conosce e null’altro. Non è retorica il dire che si gestisce senza usare le conoscenze che servirebbero? Non è banale voglia di auto rappresentazione a basso prezzo senza alcuna fatica di studio ed approfondimento?

I consulenti considerano la valorizzazione del capitale umano come una occasione per vendere banalità. O, almeno, qualche approccio mono dimensionale che non si rapporto in nessun modo con gli altri approcci e le altre conoscenze disponibili.

Esiste un top manager, un manager specialistico o un consulente che ha voglia realmente di attivare un processo di valorizzazione strategica delle persone? Non può che intraprendere la via della conoscenza, dell’utilizzo e dello sviluppo delle risorse cognitive esistenti. Altrimenti è tutto finzione.

Ovviamente chiunque volesse contestare (e più forte sarà la contestazione, meglio sarà) la mia opinione troverà su questo blog ampio spazio.




sabato 6 dicembre 2014

E’ un bel guazzabuglio …

di
Francesco Zanotti


Di un guazzabuglio del cuore umano, parlava Manzoni. Del cuore umano come un abisso aveva detto Pascal.
Un manager è costretto a immergersi anche lui in questo guazzabuglio: è da dove nascono i comportamenti che deve governare.
Il guazzabuglio manageriale è fatto di tante parole: talento, competenze, sentimenti, emozioni, valori, merito. E chi ne ha più ne metta. Che relazione c’è tra tutte queste “componenti” del guazzabuglio? Come influenzano i comportamenti?
Non sono certo domande dalla risposta semplicissima. Se guardate anche solo alle parole “emozione” e sentimento, già è difficile spiegarne la differenza. Se leggete quelle di un neuro scienziato (Damasio, ad esempio, pag 144 di “Il sé viene dalle mente”) troverete che le sue definizioni non sono proprio immediate “Le emozioni sono programmi di azione complessi e in larga misura automatici, messi a punto dall'evoluzione” e “I sentimenti delle emozioni (nota mia: cioè emergono dalle emozioni) sono percezioni composite di quello che accade nel nostro corpo e nella nostra mente quando ha luogo una emozione.”.

Di fronte a questo guazzabuglio, non semplicissimo, sarebbe necessario approfondire, visto che è da qui che emergono i comportamenti. Ma la reazione del manager è: capisco, ma purtroppo non ho tempo per occuparmene. Sono troppo impegnato in un contingente che diventa sempre più pesante. Ecco, certo, non c’è dubbio che il contingente continua a peggiorare se ci si rifiuta di capire in cosa consista quel guazzabuglio che ne è la “causa”. 

domenica 30 novembre 2014

Perché servono i consulenti?

di
Francesco Zanotti


Caro manager, se provi a fare un salto in una libreria qualunque ed hai il coraggio di non (e sottolineo il “non”) guardare la sezione dedicata al management che contiene quasi tutti esercizi autopromozionali, scoprirai potenzialità straordinarie.
In ogni area della conoscenza (dalla fisica alla biologia, alle neuroscienze su fino alla psicosociologia, verso la sociologia e l’antropologia) troveresti conoscenze che ti permetterebbero di capire perché il presente è così difficile e come superarlo.
Scopriresti, però, che non hai tempo di selezionare ed utilizzare personalmente tutta questa conoscenza … e, allora, scopriresti il ruolo del consulente. Certo non del tuo collega che hanno appena buttato fuori o che è appena andato in pensione e che cerca di riciclarsi. Ma il ruolo di un consulente professionale che si pone come interfaccia concretizzante verso la conoscenza. Tocca a lui presentarti le nuove conoscenze utilizzabili e spiegarti come utilizzarle. Utilizzarle tu e non lui.


giovedì 27 novembre 2014

Al di là della selezione amicale dei consulenti

di
Francesco Zanotti


Che la selezione dei consulenti a cui affidare incarichi di formazione, di gestione del cambiamento, di miglioramento della sicurezza, del benessere, di misurazione del clima, di definizione di valori e quant'altro avvenga per vie amicali, non ci sono dubbi.
Mi è capitato, addirittura, di osservare la faccia di più di un manager letteralmente terrorizzata di fronte alla evidenza che esistevano metodologie scientificamente più fondate, molto meno costose e maggiormente efficaci di quelle che usavano i suoi fornitori abituali. Ho assistito alle arrampicate (sugli specchi) più inverosimili pur di non cambiare.
Purtroppo, oggi sembra l’unica via praticabile. L’offerta è così dispersa, frastagliata, senza apparentemente alcuna possibilità di confronto e le aggressioni commerciali sono così fastidiose che alla fine il manager non può che affidarsi a chi conosce.
Non è certo, però, la via più efficace.
Cosa è possibile fare di altro? Noi abbiamo predisposto un servizio gratuito di Rating delle proposte consulenziali.
In cosa consiste? Abbiamo cercato, raccolto e sintetizzato i principali modelli e teorie che si occupano dell’uomo all'interno dell’organizzazione. Ne abbiamo fatto una mappa con la quale si può verificare quale tra due offerte quale è più completa. Cosa tralascia di considerare l’una o l’altra. Chi fosse interessato a fare un esperimento di rating, siamo a sua disposizione.

Ribadisco l’assoluta gratuita della cosa.

mercoledì 26 novembre 2014

Le persone come strateghi effettivi .. e articolo 18

di
Francesco Zanotti
Ma che ci fanno le persone in una impresa? Domanda scema, mi direte. La risposta è banale: lavorano. Sottintendendo: eseguono. E, invece, la domanda non è scema e la risposta che si considera ovvia è sbagliata.
Le persone, innanzitutto, inventano ogni giorno, attraverso i loro comportamenti di acquisto, produzione, erogazione e vendita, la reale strategia dell’impresa. Le strategie definite dall'alto sono così generali che, a mano a mano che scendono nell'organizzazione, devono venir interpretate. Perché sono più le domande che stimolano che le risposte che danno. E chi compie, alla fine, l’interpretazione sostanziale, quella che genera i comportamenti effettivi nei confronti dell’esterno, sono le persone che stanno alla base dell’organizzazione.
Di quello che pensano queste persone ai vertici non sanno nulla. Come non sanno quali sono i comportamenti che vengono effettivamente messi in atto. Cioè non conoscono quale sia la strategia effettiva che la loro organizzazione sta ponendo in essere.
Poi. Le nostre imprese hanno bisogno di innovazioni di sistema, non di banali innovazione tecnologiche che, alla fine, sono sempre imitative o imitabilissime. Ad esempio, non serve una nuovo modello di auto, serve una proposta radicalmente nuova, rispetto all'auto, come è attualmente pensata, alle nuove esigenze di trasporto individuale. Per costruire questo nuovo senso dell’auto non servono asettiche, episodiche ed artificiali ricerche di mercato. Serve vivere nella “carne” della società. E chi vive nella carne profonda di quella società che, poi, dovrà comprare prodotti e servizi sono, ancora una volta, le persone che vivono nelle periferie dell’organizzazione. Le persone come strateghi effettivi dell’oggi e del domani. Ed ora cominciamo pure a parlare di articolo 18 e quant’altro sta in questi giorni infiammando il dibattito politico e lo scontro sociale.


lunedì 24 novembre 2014

Il giudizio sui talenti è soggettivo. Cioè auto contraddittorio.

di
Francesco Zanotti


Sul gruppo di linkedin di AIDP si è aperta una discussione che mi sembra meriti di essere riportata nel nostro blog.
Si parla del bello e del buono della meritocrazia.
Ma io sostengo che la meritocrazia sia un concetto scientificamente ingiustificabile. Le ragioni sono così tante ...
Primo non esiste una unità di misura del merito. Se è così, come faccio a misurare il merito? Tutte le scienze umane stanno cercando di superare la voglia di misurare che è da lasciare ad un fisico classico. 
Secondo, quello che esprime una persona è contestuale. Quindi lo è anche il merito. Forse si può dire che se uno viene giudicato "immeritevole" la colpa è di chi lo guida.
Terzo, i comportamenti delle persone sono contestuali. Poi bisognerebbe chiarire se il merito è una qualche dote naturale o è frutto di impegno ...
Davvero si potrebbe scrivere un poema scientificamente fondatissimo contro il concetto di merito ...
Alla base occorrerebbe poi usare correttamente il concetto di misura.
Mi si dice che è vero che non esiste una possibilità di misurazione universale, ma ve ne sono di contestualizzate. Certo, ma per definizione non sono misure. Cioè operazioni che portano ad un risultato socialmente condiviso. Si finisce con dire che il giudizio di merito è soggettivo. Così distruggendo la possibilità di questo concetto. Lo si trasforma in un arma contro i nemici organizzativi.
Specificando, il misurare è quella operazione che, data una unità di misura, produce un risultato che è indipendente dal misuratore e contesto. Se si dice che un tavolo è lungo 5 metri, questo numero vale per tutti perché esiste un metro universale di riferimento e il tavolo è lungo 5 volte quel metro.
Se non esiste unità di misura universale non si può fare una misurazione. Si fa qualcos'altro (da specificare) che occorrerebbe chiamare in modo diverso, visto che è una operazione diversa da quella della misura. Se poi si vuole parlare di misura "soggettiva", beh allora anche il risultato che si misura è soggettivo.

Cioè il concetto di merito è soggettivo. Come credo dimostri l'esperienza: non esiste mai un accordo su quanto qualcuno ha meritato o demeritato. Quando si introduce la soggettività, si finisce sempre con l'arrivare al ... soggetto. E dire che il valore di una "cosa" (il merito) è soggettivo non è di alcuna utilità sociale. Cioè organizzativa ... Anzi genera conflitti perché tutti saranno convinti che loro non demeritavano. Mai sentito dire da qualcuno che ha demeritato? 

giovedì 20 novembre 2014

Una babele di linguaggi …

di
Francesco Zanotti


Se voi voleste scrivere un messaggio a tutti i popoli della terra, come fareste? Dovreste usare tutti i linguaggi esistenti. Come fa il Papa a Natale e Capodanno. Ad ogni popolo la sua lingua come parte fondante della sua cultura e della sua identità. Per capire e parlare ad un popolo occorre passare dalla sua lingua.
In ogni organizzazione si formano sistemi di risorse cognitive locali. Ogni gruppo organizzativo è caratterizzato da un proprio sistema di risorse cognitive locali. Ha un proprio linguaggio, ad esempio.
Queste risorse cognitive sono il filtro con il quale le persone del gruppo interpretano, decostruiscono e ricostruiscono (cioè danno senso) ai messaggi.
Anche il top management è caratterizzato da un proprio sistema di risorse cognitive con il quale pensa e si esprime. Non conosce ed usa nessun esperanto..
Arrivo alla domanda del titolo: ma se il top management non conosce i diversi sistemi cognitivi che vi sono nella sua organizzazione e non ha neanche consapevolezza delle risorse cognitive che usa lui, come può sperare di dialogare con la sua organizzazione?


martedì 18 novembre 2014

La voglia e la responsabilità della innovazione radicale

di
Francesco Zanotti


Capisco il bisogno dei manager HR di difendere il posto di lavoro. Ma non si può danneggiare la propria impresa per farlo.
Mi spiego. E’ ovvio che le nostre organizzazioni siano senza guida. Ne abbiamo parlato nell'ultimo post.
Ma questo sembra non importare a nessuno. La convinzione di un manager HR è: visto che nessuno si occupa della bottom-line, perché dovrei farlo io?
E così si continua a fare corsi, attivare progetti di cambiamento che fanno perdere tempo e soldi e che fanno danni.
Io credo che, prima o poi, serpeggerà le voglia di innovazione profonda. Qualcuno scoprirà la bellezza, la forza dell’innovazione profonda. Scoprirà che le conoscenze oggi disponibili permettono di gestire proprio la gente che lavora, laggiù nell'organizzazione dove si produce, si vende, si eroga.
La sperimenterà e scoprirà che genera risultati eclatanti.
Il primo è che partirà genererà una valanga: di licenziamenti dei manager che hanno rifutato di cercare innovazione profonda. Perché l’innovazione profonda diverrà una responsabilità. E si chiederà ai manager perché per anni si siano rifiutati di cercarla e sperimentarla.
E così la politica dello struzzo (mettere la testa sotto la sabbia della banalità per non affrontare la conoscenza) non riuscirà certo più a difendere il posto di lavoro.

E, poi, .. ma dai, ma che dignità è quella che rifiuta ogni innovazione perché ne ha paura?

venerdì 14 novembre 2014

Non facciamo più ..

di
Francesco Zanotti


Il luogo dove si produce, si eroga il servizio, si vende e si acquista, il luogo dove si mettono in pratica i comportamenti che, nel bene o nel male, generano i risultati è costituito dalla periferia dell’organizzazione.
Per governare i risultati di una organizzazione occorre governare i comportamenti che mettono in atto le persone che vivono nella periferia dell’organizzazione.

Come fa un top manager a governare la periferia della sua organizzazione?
La nostra tesi è che se utilizza gli strumenti manageriali classici oggi non può farlo.

Innanzitutto, si scopre che le periferie sono costituite da tante sociologie e antropologie complesse, le une diverse dalle altre, popolate da persone dotate di sistemi cognitivi altrettanto complessi e diversi tra di loro.
Ora, nessuna strumentazione metodologica può permettere di conoscere questa complessa realtà. La conclusione è che si deve governare senza conoscere cosa si governa.

Poi si scopre che non si possono neanche dare ordini diretti: in una organizzazione le persone sono dotate di ampi spazi di libertà. Detto più semplicemente: devono decidere da soli i loro i comportamenti perché non si può proceduralizzare tutto.

Ma si può almeno capire quali sono le determinanti dei comportamenti delle persone? No! Perché sono comportamenti emergenti e contestuali. E non causali.
In generale, una persona mette in atto i comportamenti che le permettono di realizzare il proprio progetto esistenziale. Ma, innanzitutto, non è dato sapere quale sia il progetto esistenziale delle persone. Poi, i comportamenti che una persona mette in atto dipendono anche dagli altri. Più scientificamente, dal contesto cognitivo, sociale ed antropologico in cui si trova.

Da ultimo occorre tenere presente un’altra realtà rilevantissima, forse quella che meglio caratterizza una organizzazione umana, come lo è una periferia organizzativa. Ogni organizzazione umana è caratterizzata da dinamiche auto evolutive non gestibili dall'esterno.

Ma cosa accade quando si cerca di governare utilizzando gli strumenti manageriali classici?

Formazione, “cantieri” di cambiamento
e attività di gestione delle risorse umane
sono “specializzazioni” che rompono l’organizzazione
in frammenti autoreferenziali

compromettendone efficacia, efficienza e sviluppo.